Vitamina D e calcio per mantenere la pressione bassa

Per abbassare la pressione sanguigna nelle donne anziane, integrare l’assunzione di calcio con la vitamina D potrebbe essere ben più efficace dell’uso esclusivo di calcio, afferma una ricerca tedesca. Nello studio in oggetto sono state selezionate 148 donne che avessero compiuto almeno 70 anni. Ad una metà di esse sono stati somministrati ogni giorno 1200 grammi di calcio più 800 UI (unità internazionali) di vitamina D, mentre l’altra metà è stata trattata solamente con 1200 grammi di calcio giornalieri. Nei soggetti che hanno assunto anche la vitamina D è stata riscontrata una sensibile riduzione della pressione sanguigna sistolica, oltre ad un minor numero di battiti cardiaci al minuto ed una riduzione nei livelli di ormone paratiroideo. Il miglioramento è avvenuto nell’81 per cento dei casi, mentre solo nel 47 per cento per le donne che hanno assunto solamente calcio. La pressione sanguigna sistolica corrisponde nelle misurazioni alla lettura massima, ed avviene quando il cuore si contrae. La Vitamina D è usata generalmente per le ghiandole paratiroidali, quattro strutture dalla forma allungata situate nel collo, nei pressi della ghiandola tiroidea. Queste ghiandole secernono un ormone che regola i livelli corporei di calcio. Il calcio, d’altro canto, aiuta a regolare la pressione sanguigna, sebbene l’esatto meccanismo non sia ancora completamente compreso. I medici tengono a sottolineare che tale scoperta non deve essere considerata un sostituto per i normali trattamenti per la pressione, e che questi ultimi non devono essere abbandonati soltanto perché si prende il calcio e la vitamina D.

Il pallone non fa male al cervello
La prossima volta che elevandovi sopra la difesa avversaria andrete a segnare un gol di testa in una partita di calcio, festeggiate pure tranquilli; colpire la palla di testa non aumenta le possibilità di lesioni cerebrali nei calciatori, secondo una recente ricerca. Colpire la palla con la fronte allo scopo di imprimergli una direzione è infatti ritenuto sicuro, quando il giocatore lo fa volontariamente. Nel colpo di testa volontario, infatti, la forza dell’impatto viene assorbita da tutto il corpo, grazie al collo che lo collega alla testa. Per le madri che chiedono frequentemente se colpire la palla di testa può danneggiare la salute dei propri figli, la risposta è dunque negativa; il discorso cambia se l’impatto della palla avviene in maniera accidentale o involontaria, in quanto il corpo ed il collo non sono preparati al colpo. La tecnica calcistica insegna che per un corretto colpo di testa è opportuno tendere il collo, in modo che la potenza dell’impatto venga distribuita su tutto il corpo, un’area molto più grande della palla, in modo di rendere il trauma completamente trascurabile. Il pallone deve essere colpito con la fronte, nei pressi dell’attaccatura dei capelli. Generalmente un calciatore colpisce la palla di testa dalle cinque alle dieci volte per partita. Dunque appare infondato associare problemi cognitivi e di memoria riscontrati in alcune persone dedite ad attività sportive con gli effetti del colpo di testa; la vera pericolosità del calcio è data dalle ferite alla testa dovute a scontri con altri giocatori o da cadute sul terreno di gioco.

Una terapia combinata è più efficace per la cefalea cronica
Chi soffre di cefalea tensiva cronica è soggetto a forti mal di testa quasi giornalieri, e quel che è peggio, tale patologia risulta molto difficile da curare. Le terapie farmacologiche e comportamentali attualmente in uso sembrano avere entrambe modesti effetti. Una ricerca svolta dall’Ohio University di Athens (Ohio) ha voluto sperimentare gli effetti di una terapia combinata, nell’ipotesi che potesse condurre a significativi miglioramenti. A tale scopo sono stati selezionati 203 adulti, (costituiti per il 76 per cento da donne, con un’età media di 37 anni), a cui era stata diagnosticata una cefalea tensiva cronica. In pratica tutti individui soggetti ad una media di 26 attacchi di emicrania al mese. Ai partecipanti sono stati assegnati diversi trattamenti, così suddivisi: farmaci antidepressivi triciclici (53 pazienti), placebo (48), tecniche di rilassamento combinate a placebo (49), farmaci antidepressivi combinati a tecniche di rilassamento (53). I risultati della ricerca hanno dimostrato come i più significativi miglioramenti (64 per cento dei casi) siano avvenuti nel gruppo che combinava i farmaci antidepressivi con le tecniche di rilassamento. Le tecniche di rilassamento sono costituite da sedute di stretching muscolare, insegnamento di tecniche di autocontrollo e di gestione dello stress. Se uniti al trattamento farmacologico vanno a costituire una terapia combinata che può dare i suoi frutti, migliorando sensibilmente l’efficacia della monoterapia. Inoltre, risulta più facile per i pazienti interrompere la terapia combinata rispetto a chi adotta solamente cure farmacologiche.