Stili di vita e cuore a rischio

Grazie alla prevenzione e alle cure innovative, si stima che negli ultimi 50 anni, in Italia, siano state salvate dall’infarto 750 mila persone, quanto gli abitanti di due grandi città come Firenze e Bologna. Ma ora gli stili di vita scorretti stanno creando una generazione di adulti destinati ad ammalarsi di cuore più dei loro nonni. L’ottimizzazione delle cure ha portato gli italiani a temere meno l’infarto e a essere più riluttanti ad abbandonare le cattive abitudini. Fumo, sedentarietà, alimentazione sbagliata sono ancora gli ostacoli più difficili da superare e mettono a rischio anche i più giovani. 

A lanciare l’allarme, insistendo sulla necessità della prevenzione, l’Associazione azionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco), nel corso del congresso tenutosi a Venezia per celebrare il proprio 50° anniversario.

Se a metà degli anni ’70 i decessi per infarto superavano i 90 mila, oggi ci si attesta a 35 mila, grazie al miglioramento delle terapie farmacologiche, all’introduzione dell’angioplastica coronarica e alla realizzazione di una rete ospedaliera ‘salvacuore’. Ma il timore dei cardiologi è che in un prossimo futuro il numero possa tornare a salire.

“Negli anni 60 l’infarto colpiva in media a 40-50 anni e chi sopravviveva finiva un mese in ospedale e poi era considerato invalido a vita”, ha spiegato Francesco Bovenzi, presidente dell’Anmco. “Oggi l’infarto è diventato un ‘problema da vecchi’: colpisce in media intorno ai 70 anni, il ricovero dura pochi giorni e, soprattutto, si muore assai di meno, visto che la mortalità per chi viene ricoverato in un’Unità di terapia intensiva coronarica è del 3%, e del 10% quella di chi viene curato in unità non specialistiche”.

I decessi si sono ulteriormente ridotti negli anni ’90, grazie all’introduzione dei farmaci che fluidificano il sangue, agli interventi di by-pass e angioplastica. “Nel 2000 ci sono stati 43 mila decessi in meno rispetto al 1980”, sottolinea Simona Giampaoli, responsabile del Reparto di epidemiologia delle malattie cerebro e cardiovascolari, Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

L’ottimizzazione delle cure, però, ha portato gli italiani a temere meno l’infarto e a essere più riluttanti ad abbandonare le cattive abitudini. Fumo, sedentarietà, alimentazione sbagliata sono ancora gli ostacoli più difficili da superare e mettono a rischio anche i più giovani. Secondo Bovenzi, “abbiamo tutto ciò che serve perché la mortalità per infarto si trasformi da un’epidemia in un’endemia, ma gli italiani devono capire che per riuscirvi serve ormai soprattutto il loro impegno nel perseguire corretti stili di vita. La consapevolezza del rischio cardiovascolare deve riguardare non solo gli anziani o coloro che sono colpiti da malattie importanti, ma anche i giovani che ne sottovalutano l’importanza e si considerano, a torto, meno a rischio degli altri”.
(Fonte: Almanacco della Scienza)
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