“Una vera epidemia, 13 milioni di italiani a letto, un italiano su quattro; e 5.000 sono passati a miglior vita”. Cronaca del Coronavirus? No, la trasmissione è dell’inizio degli anni ’70, così come si può ascoltare nel video-documento riportato più sotto, pubblicato dall’Istituto Luce. L’epidemia “spaziale” di cui si parla nel filmato era nata a Hong Kong nel luglio del 1968 e arrivata in Italia 18 mesi dopo. “Quella di Hong Kong è stata la terza ondata di epidemia influenzale che ha colpito il mondo occidentale dopo la spagnola, che tra il ’18 e il ’19 causò tra i 70 e i 100 milioni di morti, e dopo l’influenza asiatica del ’57”, spiega Andrea Grignolio dell’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del Cnr e docente di Medical Humanities e Bioetica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. “Aveva un tasso di letalità basso, pari allo 0,1-0,5%, coincidente cioè con quello di quasi tutte le influenze stagionali. Si trattava di un ceppo di tipo aviario-suino, con una capacità di diffusione molto alta. Per questo nel mondo ha mietuto un milione di vittime su 250 milioni di contagiati”.
“Quando Mao starnuta, il mondo si ammala”, così commenta l’influenza nata a Hong Kong il giornalista autore del servizio, citando un proverbio dell’epoca. Dunque possiamo sostituire il nome di Mao con quello di Xi Jinping e il gioco è fatto? D’altra parte la situazione descritta sembra applicarsi al clima attuale, con “strade, fabbriche, uffici e mercati mezzi vuoti”, mentre gli ospedali si trovano a fare gli straordinari.
In realtà, la situazione in cui ci troviamo oggi è diversa, sia per quanto concerne le caratteristiche del Covid-19 sia per le reazioni generate. “Bisogna fare attenzione a paragonare i diversi tipi di influenza al Covid-19, forse l’unica similitudine tra le due patologie è che in alcune fasi il Coronavirus ha sintomi simil-influenzali”, prosegue il ricercatore. “A parte questo, è profondamente differente: ha un tasso di letalità ben più alto, che al momento è attorno al 3-4%, e diversa è anche la capacità di diffusione. Nel caso delle influenze si tratta di un indice di riproducibilità di 1,2-1,4, cioè un malato è in grado di contagiare poco più di una persona, mentre il Covid-19 ha una capacità di infettare almeno 2,2 persone, ma probabilmente anche di più e, cosa che colpisce maggiormente, ha un’alta percentuale di ricoveri, che in Italia si sta attestando tra il 10 e il 15%”. Sempre stando ai dati attuali.
È opportuno ragionare anche sulle differenti reazioni seguite alle due epidemie. L’influenza spaziale ha colpito milioni di italiani, eppure il video dell’Istituto Luce mostra un approccio più sobrio di quello dei media contemporanei. “Guardando il filmato, vediamo che la popolazione percepiva meno il rischio e questo può essere legato almeno a due fattori, il primo è storico: nel ’57 l’aspettativa di vita della popolazione era più bassa, la mortalità infantile molto più alta e morire di una malattia infettiva era qualcosa che apparteneva al senso comune”, continua Grignolio. “Andando sull’autobus si vedevano persone claudicanti o semiparalizzate dalla polio, persone sfregiate dal vaiolo, dunque la percezione sociale delle malattie infettive era diversa. Il secondo fattore riguarda i social media, che non esistevano, dunque la comunicazione non raggiungeva i picchi informativi attuali e mancava l’odierno e reciproco influenzarsi negativamente”.
Oggi la percezione del rischio è mutata, l’aspettativa di vita si è triplicata e l’Italia, tra i Paesi più longevi a livello mondiale, possiede un sistema sanitario tra i più efficienti del mondo. L’insieme di questi fattori porta a percepire il rischio in modo diverso. “Se a questo aggiungiamo un continuo scambio di informazioni e video, a cui non dobbiamo sottrarre mis-informazione, dis-informazione e fake news, la percezione del rischio non può che essere maggiore”, aggiunge l’esperto del Cnr-Itb che, parlando del principio di disintermediazione legato ai social media che spesso ha messo sotto attacco i saperi tecnici, si augura che la situazione “possa riportare gli scienziati al centro della discussione pubblica e politica e che possa indurre la cittadinanza a una maggiore sensibilità verso i finanziamenti e il supporto alla scienza”.
La ricerca è l’arma per sconfiggere la paura in una situazione come quella attuale in cui il pericolo è percepito come un nemico in grado di palesarsi in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, per mano di chiunque, offrendo terreno fertile a discriminazione e isolamento. “Le malattie infettive sono qualcosa di comune, che dovrebbe rimandare a un principio di solidarietà: non esco non solo per non ammalarmi, ma anche per non trasmettere la malattie agli altri. Se tutti facciamo così, siamo come tanti spilli che fanno una spada”, commenta Grignolio, che, parlando del rapporto tra informazione sanitaria e scientifica in generale e il web, dichiara: “I temi che più hanno impatto sui media sono i vaccini e la sperimentazione animale. Dobbiamo attendere la fine dell’epidemia Covid-19, presumibilmente prima dell’estate, per poter misurare lo scambio che ha determinato sui social. I dati parziali che abbiamo a disposizione fanno capire comunque che si tratta di un caso di ‘infodemic’, ossia di un’epidemia informatica molto forte. Mentre i primi due temi toccano una porzione della popolazione, il Covid 2019 la tocca nella sua interezza e quindi immagino che il flusso di scambi informativi sui social media e sul web non avrà pari. Questo è davvero il primo caso di epidemia vissuta sui social network e ci vuole tempo prima di fare valutazioni e capire quali saranno gli effetti. Fondamentale è, comunque, che le istituzioni preposte all’informazione sanitaria rispondano a un principio di responsabilità (accoutability) per cui i dati chiave utili alla popolazione vengano messi a disposizione, per non ingenerare un meccanismo perverso di iper-ricerca e il conseguente rischio di fake news e teorie del complotto”.
Video documento: video-documento
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza