La vulgata di un Giacomo Leopardi triste, malinconico e depresso, perché deforme nel fisico e debole di salute, ha spesso oscurato l’immagine collettiva del poeta recanatese, ingabbiando la grandezza della sua produzione letteraria nello stereotipo del pessimismo e banalizzandone la personalità. Ma basta leggere i carteggi del padre Monaldo con amici e parenti per avere una descrizione molto chiara e realistica del Leopardi privato, che pur partendo per una salute fragile di carattere non era affatto infelice, sottomesso o afflitto.
“In effetti, il poeta non ha certo avuto una vita fortunata dal punto di vista della salute e prova ne è l’età della sua morte, 39 anni, pochi anche per quei tempi (in sezione, un ritratto di Leopardi sul letto di morte, eseguito da Tito Angelini). Tutti ne ricordiamo le immagini riportate nei testi liceali, che lo ritraevano con una cifosi delle vertebre dorsali pronunciata – una gobba, per intenderci – che ne accorciava la statura e ne condizionava il portamento”, osserva Roberto Volpe, medico del Servizio prevenzione e protezione (Spp) del Cnr. “Si è pensato a lungo che ciò fosse frutto di una vita condotta al chiuso e al buio della biblioteca di casa con posture viziate e carenza di sole e di vitamina D con conseguente rachitismo”.
Per fare chiarezza si può anzitutto affermare che le deformità scheletriche di Leopardi non erano congenite: sono comparse dopo lo sviluppo, come riporta il Marchese Solari di Loreto, intimo amico della famiglia Leopardi, che scriveva: “L’ho lasciato di circa 16 anni sano e dritto, lo trovo dopo cinque anni consunto e scontorto, con avanti e dietro qualcosa di veramente orribile”. Anche le annotazioni del poeta e amico Antonio Ranieri sono state utilizzate per formulare ipotesi diagnostiche plausibili. “Per i pediatri Bartolotta e Beccacece, che hanno pubblicato dettagliati studi sulla salute di Leopardi basandosi sulle testimonianze dei contemporanei del poeta, la causa della cifosi potrebbe essere stata una grave forma di tubercolosi ossea, nota anche come Morbo di Pott o spondilite tubercolare, che lo colpì a livello delle vertebre toraciche e dello sterno, deformandole in maniera irreversibile”, prosegue il ricercatore. “Del resto, Leopardi stesso riferiva sintomi tipici della Tbc, quali febbri ricorrenti con espettorazioni catarrali anche striate di sangue (e di tubercolosi morì Luigi, fratello del poeta). La deformità del torace, impedendo la normale dinamica respiratoria, gli creò anche disturbi respiratori (“L’asma m’impedisce il camminare, il giacere e il dormire, soffoco…”) che oggi potremmo definire da broncopatia cronico restrittiva, con evoluzione verso un’insufficienza cardio-respiratoria, il cosiddetto cuore polmonare”.
Ma le ipotesi avanzate sono diverse. “Il neurochirurgo Sganzerla, in un volume recentemente pubblicato, opta invece, per la rara spondilite anchilopoietica giovanile, nota anche come spondiloartrite anchilosante, una malattia reumatica infiammatoria genetica causata da una reazione autoimmunitaria secondaria a un’infezione”, aggiunge Volpe. “Essa colpisce le cartilagini articolari, che vengono sostituite da tessuto cicatriziale calcificato che deforma e irrigidisce le articolazioni”.
Chi avrà ragione? “Qualunque sia stata la causa della sua cifosi e del suo aspetto, oggetto di scherno da parte dei suoi concittadini, per quanto concerne il carattere si potrà parlare di malinconia, di insicurezza, ma non di pessimismo o, peggio, di depressione. Basti pensare alla passione per i viaggi, al suo incitare all’azione seppur apparentemente vana (Operette morali, Dialogo tra Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez) o al rifiuto del suicidio in nome della solidarietà umana (Operette morali, Dialogo di Plotino e di Porfiro). Con il Binni, direi anzi che Giacomo Leopardi era ‘eroico’”, conclude il medico.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
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