I meccanismi di tolleranza e risposta al freddo sembrerebbero non giovarsi di uno stile di vita ‘moderno’, dove la difesa dalle basse temperature è sostanzialmente comportamentale (abiti pesanti e ambienti riscaldati), la sedentarietà è in aumento e le attività fisiche o ludiche all’esterno sono ormai assai limitate.
Brividi, vasocostrizione (con l’aumento della pressione arteriosa e la riduzione del battito cardiaco), stimolo della diuresi. Sono le prime e ben note risposte del corpo umano di fronte alla riduzione della temperatura cutanea: una serie di meccanismi di difesa che, da una parte, limitano la dispersione di calore attraverso la cute per difendere gli organi interni (con la riduzione della superficie vascolare e del volume di sangue negli strati più esterni del corpo); dall’altra – è il caso dei brividi – incrementano la produzione di calore attraverso le contrazioni muscolari involontarie, capaci di aumentare il metabolismo basale anche di cinque, sei volte.
Particolare significativo, i meccanismi di tolleranza e risposta al freddo sembrerebbero non giovarsi di uno stile di vita ‘moderno’, dove la difesa dalle basse temperature è sostanzialmente comportamentale (abiti pesanti e ambienti riscaldati), la sedentarietà è in aumento e le attività fisiche o ludiche all’esterno sono ormai assai limitate. “La ridotta capacità di ‘termoregolare’”, spiega Patricia Iozzo del Centro Pet dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa, “si associa, probabilmente non a caso, ad altre conseguenze legate all’attuale stile di vita, come l’obesità e le relative complicanze: un parallelismo che è proprio al centro della nostra linea di ricerca. In attesa di saperne di più, vale un unico consiglio: mantenere sempre un regolare allenamento fisico che, oltre a ridurre il rischio di malattie metaboliche, sembra migliorare anche la resistenza e la prestazione sportiva alle basse temperature”.
La seconda risposta, ‘cronica’, segue la persistente esposizione al freddo e conduce all’acclimatazione grazie a un aumento del metabolismo basale non indotto dai brividi, ma coinvolgendo i muscoli e il tessuto adiposo bruno. Un fenomeno che è al centro degli studi metabolici del Centro Pet dell’Ifc-Cnr, che per questo scopo si avvale anche di una stretta collaborazione con l’omologa struttura dell’Università di Turku, in Finlandia: i meccanismi della termogenesi (ovvero, la produzione di calore) da esposizione al freddo presentano infatti alcune similitudini con la termogenesi indotta dall’ipernutrizione, e potrebbero rivelare particolari significativi su alcune malattie metaboliche (obesità, sindrome metabolica) e sulle loro complicanze (malattie del cuore e diabete di tipo 2).
“Il nostro gruppo”, osserva la dottoressa Iozzo, “utilizza metodiche a immagine (la Pet, Tomografia ad Emissione di Positroni) che ‘fotografano’ il destino di nutrienti come lo zucchero e i grassi negli organi del nostro corpo. Tali metodi hanno messo in evidenza come, diversamente da quanto ritenuto fino a pochi anni fa, il tessuto adiposo bruno possa svolgere un ruolo significativo negli esseri umani adulti e sia attivato alle basse temperature e nelle popolazione cronicamente esposte a clima freddo. Gli studi confermano che il grasso bruno risponde all’esposizione al freddo con un aumento del consumo di energia, proprio come il muscolo: ne stiamo ora indagando la regolazione nell’obesità e nel diabete. Inoltre, siamo orientati a comprendere il contributo del fegato (un organo metabolicamente molto attivo) al fenomeno della termogenesi; questo organo è di fatto inesplorato da questo punto di vista perché difficilmente accessibile. Ci aspettiamo che la comprensione dei meccanismi alla base di questo tipo di termogenesi possa da un lato fornire informazioni utili a promuovere l’adattamento al freddo negli sportivi esposti a basse temperature e, dall’altro, supportare la prevenzione e la cura delle malattie metaboliche”.
(Almanacco della Scienza – CNR)
Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR