“Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati”
“Dove andiamo?”
“Non lo so , ma dobbiamo andare”
(J. Kerouac, On the road)
“Beat è il viaggio dantesco, il beat è Cristo, il beat è Ivan, il beat è qualunque uomo, qualunque uomo che rompa il sentiero stabilito per seguire il sentiero destinato”
(G. Corso)
Quando, verso la metà degli anni quaranta, prese vita quel movimento, non solo letterario, definito beat, nessuno si sarebbe aspettato che avrebbe modificato così radicalmente la vita, il modo stesso di fare poesia, la coscienza collettiva dell’epoca.
Non fu facile, per quei ragazzi, orbitanti intorno alla Columbia University prima e alla City Lights Books dopo, portare avanti le loro idee, accusati come furono di oscenità e di infamie varie.
Quei ragazzi erano, e sono, J.Kerouac, Allen Ginsberg, William Borroughs, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, e altri come Diane Di Prima, Norman Mailer, Joel Oppenheimer, che nel corso negli anni fecero propria la filosofia beat.
Il termine beat viene coniato da J.Kerouac nel 1947, ma l’atto di nascita ufficiale è il 1952, anno di pubblicazione di Go, un racconto di John Clellon Holmes, che viene considerato il primo racconto beat, e dell’articolo “This is the Beat Generation” ( Holmes, New York Times, novembre 1952), che segna l’avvio dell’esistenza “pubblica” del beat. L’evento fondamentale è la pubblicazione di Howl di Ginsberg nel 1956, subito condannato per oscenità ( Ferlinghetti che lo pubblicò finì in prigione) Certo non era facile il passaggio dal Musical, dagli eroi buoni del Western , dal maccartismo, dai benpensanti e dalla voce di zio Frankie, alle visioni e alle esperienze di personaggi che avevano vissuto il riformatorio, l’ospedale psichiatrico, la galera. Non era facile accettare un romanzo (e infatti fu respinto dagli editori per molti anni) come On the road, scritto su un rotolo di carta da telescrivente, portato nello zaino per sei anni in giro per quell’America che dovrà rassegnarsi a fare i conti con il cataclisma che la sconvolgerà. Ma i beats, i battuti, (così li definivano in senso dispregiativo, facendo riferimento alla loro presunta instabilità, all’uso abituale di Marijuana, al disprezzo per l’ordine costituito) non furono battuti né vinti. Andarono avanti incoraggiandosi a vicenda, trovando sostegno l’uno nell’altro, rifuggendo quella pubblicità negativa che li voleva ad ogni costo annientare “Beat – diceva Kerouac – vuol dire beatitudine, non battuto“.
Beat è ribellione. Beat è battito. Beat è ritmo. Quello della musica jazz, che si ascolta in quegli anni, quello del be-bop, quello della cadenza dei versi nelle poesie. Beat è la scoperta di se stessi, della vita sulla strada, del sesso liberato, della droga, dei valori umani, della coscienza collettiva.
Nel ventennio che segna l’avvento e la crescita della Beat Generation accadranno molte cose: dalla bomba atomica alla guerra del Vietnam. In mezzo scorreranno i fiumi della rivendicazione razziale e dei movimenti pacifisti.
Cammino sotto le stelle lontane
Cammino sotto le stelle lontane
come facevo da piccolo con mio fratello, come facevo
in quelle lunghe , fredde
notti di S. Francisco, che sembravano non avere limiti –
solo viali
di colonne e sempreverdi,
senza muri.
E guardo in alto e vedo gli spazi tra le stelle
penso alle nebbie e alle miglia che le separano,
cosa attraverseremmo per essere insieme:
Così mi ritrovo a Churchill Street
tornando a casa dal negozio
gli occhi rivolti ai densi gruppi
che crepitano nella notte,
E sento di nuovo la domanda che dimora
nelle nostre menti
sull’idea che è dietro all’uomo
il suo posto nell’universo
e l’universo,
il suo posto nell’uomo.
E resto come quando avevo otto anni
con lo stupore di cos’è a creare tutto,
l’infinità tra ciascuna luce
e l’eternità di una.
E sono muto con la domanda
John Wieners
Pazzo mai
Pazzo mai
Eppure mai lontano
dal ludico ludibrio
o dal grottesco assurdo
Un recita-tragedie
Eppure
io chiedo il massimo alla poesia
il massimo all’arte
Solo l’assoluto deve adattarsi
all’Assoluta verità all’Assoluta bellezza
(Ah ipocrita postmoderno, vattene!)
impermeabile
come una roccia in un oceano
sopra le onde infrangibili
Samotracia irraggiungibile
su un promontorio
destinata a non cadere mai
o a non esistere mai
La Dea calva
o la Divinità rasata
viste da vicino
Che si muovano
e si voltino verso di noi
gesticolando
e scuotano il mondo
scuotano i nostri sensi
e sensori
e censori
Che i muri del tempio si scuotano
Che le stelle risplendano attraverso
un varco nel cielo
(come attraverso la volta del Pantheon)
per vedere l’estrema
notte bianca
l’ultima
assurda visione.
Lawrence Ferlinghetti
Il Pittore
Pura luce nella prima luce
Pura come un angelo
stava la tela
davanti al giovane pittore
Pulsava in onde di luce
Brillava di luce propria
Egli poteva solamente insudiciarla
sopraffarla
con il suo pennello troppo duro
violarla
con la sua spatola troppo fallica
Egli desiderava un bel pennello di piume bianche
(il Cigno con Leda)
Ed egli indietreggiò
E appoggiò la tela a terra
E giacque solo con lei
E a lungo giacque con quella vergine
desiderando una purezza tutta per sé
Lawrence Ferlinghetti
Poesie più o meno d’amore
cento larve
hanno insegnato alle mie viscere a torcersi
cento settimane or sono
e adesso tu vieni con bacche
nei capelli
e aspetti il mio
applauso.
Mi domando
perché
abbiamo dormito
insieme
quelle notti
e cosa abbiamo perduto
Diane Di Prima
Canzone alle 24 il tempo
ha mangiato la mia innocenza come un pistacchio
l’amore se n’è andato con la mia fiducia
o nobile primoamore
tutto verde limo
cosa hai fatto della mia risata?
cosa hai fatto della mia risata
e dei soldi che ti davo al venerdì
e dei buchi nelle mie scarpe?
Diane Di Prima
Era una/e quasi santa
da “Ghirlanda in morte di Marilyn Monroe”
Era una /e quasi santa donna
librata
Un angelo balbuziente
la scioglieva.
(avrebbe detto
è così splendido
è così meraviglioso essere felice
ma ci si deve accorgere
che non tutta l’infelicità
è nascosta)
Avrebbe mostrato come
si addomesticano i cavalli
come si fanno i film
com’erano le sue gambe
sotto la
seta più bella
che gli uomini da cui era posseduta
le facevano
portare.
Ci avrebbe raccontato
di castelli
campane nuziali e
baseball
letteratura
e un campo ancora
da svolgere (almeno nella sua mente)
chiamato psichiatria.
Avrebbe
e lo fece
combattuto
il cibo da cani senza
nominare i cani
sindacati bar e
folle di stadio
e d’improvviso
non
ci
fu
più angelo
balbuziente- sia pure
per
dire
ciao
e non ci fu
più santa
e non
ci fu
più tempo
soltanto rotaie vuote di treni
in cui aggirarsi
deserte stazioni di legno
muschiosi
pomeriggi vuoti
così è andata
dove nessuno
voleva che andasse
dove nessuno
l’ascolterà
dove tutti
la udranno.
John Harriman
L’economia dell’amore
I tuoi occhi
sono belli
disse il mio
amore.
Sì dissi io
i miei occhi
hanno
visto il tuo
seno
e perciò sono
belli.
(ma il mio cuore
era immerso
in quel
calcolo
dell’anima
che misura
il guadagno
e il costo
delle trasformazioni
da bellezza
in potere)
I tuoi occhi
sono belli
disse il mio amore
e mi
ha
lasciato
Norman Mailer