Si può fare!

La nuova scommessa di Muhammad Yunus – dopo aver ribaltato gli assunti di base del mondo dell’economia con la sua idea di microcredito – sta nel pensare un capitalismo diverso, basato su imprese che abbiano per scopo non solo il raggiungimento del profitto ma anche la ricchezza sociale: il business sociale. I primi passi concreti che realizzano il sogno di un capitalismo dal volto umano, etico e finalizzato al benessere sociale.

Il libro
La nuova scommessa di Muhammad Yunus – dopo aver ribaltato gli assunti di base del mondo dell’economia con la sua idea di microcredito – sta nel pensare un capitalismo diverso, basato su imprese che abbiano per scopo non solo il raggiungimento del profitto ma anche la ricchezza sociale: il business sociale.
In Si può fare! Yunus entra nel merito degli esperimenti di business sociale avviati in questi ultimi anni, spiegando cosa ha funzionato e cosa invece è da cambiare, grazie alla sua capacità di sminuzzare i problemi in modo non convenzionale, parlando costantemente con i protagonisti, per ripensare di continuo convinzioni e procedure.
Oltre al racconto dei primi passi (e delle difficoltà) dell’esperienza Danone in Bangladesh, si susseguono il delizioso racconto della vicenda della Mirakle Couriers di Mumbai, un’impresa con finalità sociali di consegna a domicilio gestita da sordomuti poveri, organizzati da un giovanotto che studia a Oxford. Oppure l’incredibile vicenda dei medici dell’Ospedale dei bambini di Firenze, che dopo aver messo a punto l’unica cura contro la talassemia a livello mondiale, dal 2007 stanno cercando di esportarne le pratiche anche negli angoli più poveri dell’Asia. O ancora la collaborazione fra la multinazionale francese Veolia e il mondo Grameen per distribuire acqua potabile depurata nel bacino dell’Himalaya dove l’acqua è sì abbondante, ma contaminata da tracce di arsenico di origine naturale.

Muhammad Yunus
Traduzione: Pietro Anelli
Collana: Serie Bianca – Feltrinelli Editore
Pagine: 256 Prezzo: Euro 16

(estratto) da 3. Come si lancia un’impresa con finalità sociali

Il business sociale rappresenta una novità per la teoria economica, ma le persone che scelgono di aderirvi lo fanno per motivazioni semplici e familiari a tutti. Servono infatti creatività, capacità imprenditoriale e il desiderio di fare del mondo un posto migliore, tutte inclinazioni condivise da milioni di persone. Siamo abituati a parlare di capacità imprenditoriale solo quando ci occupiamo di affari convenzionali. La differenza fondamentale fra l’avvio di un’azienda convenzionale e quello di un’impresa con finalità sociali sta nella motivazione di fondo dell’imprenditore. Chi dà avvio a un’impresa con finalità sociali, deve essere ambizioso, energico e creativo, insomma uno capace di sognare in grande proprio come ogni altro imprenditore, ma deve percepire una spinta di fondo diversa. Chi vuole avviare un’impresa convenzionale è attento essenzialmente a massimizzare il profitto per guadagnare denaro, possibilmente molto, dato che il convenzionale metro di misura del successo si riduce a questo. Quindi si va a caccia dell’idea vincente fra quelle che sembrano promettere gli affari più grossi: scoprire un segmento di mercato con clientela ricca ma insoddisfatta, inventare un costoso prodotto di nicchia cui nessuno ha ancora pensato, organizzare un modo innovativo di fornire un bene o un servizio già esistenti così da convincere i consumatori a pagare di più per averli.
Quando invece si dà avvio a un’impresa con finalità sociali, non si va in cerca del grosso affare, né del massimo profitto, perché il primo passo consiste nel mettere a fuoco un problema sociale di cui ci sta a cuore la soluzione, e solo dopo si pensa a quale iniziativa commerciale o produttiva possa contribuire alla sua soluzione.

In questo caso il profitto conta solo in quanto condizione necessaria e non come obiettivo finale. Non ci si mette, insomma, in cerca del modo più interessante e redditizio per soddisfare una domanda di mercato con le risorse di cui si dispone; lo spunto iniziale deve arrivare da tutt’altra direzione e cioè dalla nostra istintiva compassione per gli altri. Capita di essere testimoni o di venire a conoscenza delle condizioni difficili in cui versa una certa parte della popolazione e di provare il desiderio di far qualcosa per cambiare questo stato di cose, una reazione molto naturale quando si viene interrogati dalla sofferenza degli altri: a questo punto ci si chiede se esista una soluzione e quale possa essere. Scegliendo le modalità del business sociale, non solo ci si attrezza per un impegno di lunga durata, dato che l’attività dovrà essere economicamente sostenibile e coprire i propri costi, ma si è anche sicuri che la “clientela”, cioè le persone che si cerca di aiutare, saranno trattate con la dignità e il rispetto che meritano facendole sentire parte integrante e attiva del sistema economico globale e non soggetti deboli che solo la carità può tutelare.

Dunque si dà vita a un’impresa con finalità sociali innanzitutto identificando un bisogno e considerandolo alla luce delle proprie risorse e capacità. Guardandosi attorno e domandandosi: cos’è che non mi va in quello che mi circonda? Cosa mi piacerebbe veramente cambiare? Poi bisogna identificare le cause profonde del problema e il punto fondamentale su cui intervenire. E tutto questo va fatto con cura e precisione, ragionando in profondità: nessuna superficialità o approssimazione in questa fase. Si può cominciare compilando un elenco dei problemi sociali che affliggono il mondo, potrebbe volerci un quaderno intero. Poi bisogna considerarli uno per volta chiedendosi se esiste un’impresa con finalità sociali di qualche tipo che li possa mitigare. Questo è il modo migliore per cominciare.
Ma scorrendo la lista dei problemi che reclamano soluzione, non bisogna lasciarsi scoraggiare dal fatto che alcuni per essere risolti richiedano cose apparentemente impossibili. Può darsi che tocchi proprio a noi, al nostro personalissimo bagaglio di competenze e capacità scoprire come renderle possibili!

Bisogna essere creativi. Oggi abbiamo la fortuna di avere a disposizione tecnologie tanto potenti da consentirci innovazioni di grande peso anche partendo da piccole idee, e domani avremo a disposizione tecnologie ancora più avanzate che renderanno possibili cose oggi incredibili. La grande sfida che il business sociale deve fronteggiare, ma anche la sua grande opportunità, sta proprio nel trovare il modo di applicare queste tecnologie alla soluzione dei problemi sociali. Sono tanti i problemi che siamo chiamati a risolvere: povertà, fame, malattie endemiche, assistenza sanitaria, disoccupazione, bambini abbandonati, droga, mancanza di abitazioni, inquinamento, degrado ambientale e così via. Conviene innanzitutto guardarsi intorno cominciando dai problemi che esistono appena fuori dalla porta di casa e farne un elenco organizzato per argomenti generali. Per ogni argomento generale bisogna poi approfondire analizzando accuratamente quali sono i temi specifici su cui si può costruire un’impresa con finalità sociali. E infine bisogna scegliere uno di questi temi e cominciare a lavorarci raccogliendo informazioni su ogni aspetto e redigendo un primo piano d’azione dell’impresa che intendiamo dedicargli. All’inizio conviene limitarsi al problema sociale che nella nostra situazione particolare risulta più facile da affrontare e non da quello che sembra il più importante, evitando di imbarcarsi in progetti eccessivamente ambiziosi. Il problema immediato di chi comincia a operare in questo campo è individuare il progetto dal quale imparare il più possibile. Non mancheranno certo in futuro occasioni per ampliare il nostro orizzonte, ma al momento dobbiamo innanzitutto imparare l’abc su come si lancia e si gestisce un’impresa con finalità sociali.

Dunque è bene partire dal mondo intorno a casa cercando di servirsi soprattutto delle competenze, delle risorse e dei vantaggi di cui già si dispone direttamente: e se questi mezzi appaiono a prima vista inadeguati all’obiettivo da raggiungere, occorre aguzzare l’ingegno e farseli bastare. Molto spesso a colpirci è la povertà nei paesi in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia del Sud o dell’America Latina, ma se viviamo lontano dai contadini, dagli artigiani e dagli operai di quei paesi, per esempio in Europa, in Giappone o in America del Nord, se non abbiamo mai neanche fatto un viaggio in un paese del Sud del mondo, cosa possiamo fare sul terreno del business sociale? All’inizio bisogna concentrarsi su ciò che si conosce meglio, per esempio sul mercato interno del proprio paese e sulle attitudini dei suoi abitanti; oppure sulle opportunità offerte dal proprio lavoro o professione che sia, o da un’eventuale competenza specialistica, magari non comune, di cui si dispone. Nell’affrontare la prima impresa con finalità sociali, insomma, bisogna essere elastici e adattarsi alle circostanze. Tutti ci troviamo a operare in qualche segmento dell’attività economica, dall’agricoltura ai processi industriali, alla manifattura al commercio, su fino all’acquisto finale dei beni, e in ogni paese del mondo ci sono i poveri.

Bisogna connettere questi due piani individuando il gruppo di persone cui si può prestare aiuto nel modo meno complicato, magari a poche persone che vivono in un paese sviluppato, non importa; si cercherà in seguito di allargare il proprio raggio d’azione aumentando il numero delle persone da raggiungere con la nostra attività; l’importante è partire dal luogo in cui si vive e non scoraggiarsi mai.Finché l’attività produttiva che abbiamo scelto mostra di reggersi sui propri ricavi rispettando obiettivi e requisiti del business sociale va portata avanti con determinazione: magari non sarà l’impresa con finalità sociali più brillante del mondo, ma si tratterà pur sempre di imprese con finalità sociali. La cosa fondamentale è che il progetto funzioni, perché anche se si concepisce un progetto bello e ambizioso, ma dopo averci lavorato per mesi e anni si deve constatare che i conti economici non tornano, la delusione e lo scoraggiamento saranno inevitabili, e questo non deve assolutamente accadere. Per far bene business sociale bisogna innanzitutto che ci piaccia: “Fatelo con gioia”, dovrebbe essere il motto da ricordare sempre e da mettere in pratica giorno dopo giorno.

Quanto poi ai bisogni dei poveri non occorrono complicate elucubrazioni sulla loro psicologia e non serve ricorrere ai più recenti studi di sociologia e di economia sui meccanismi di uscita dalla povertà. Conviene, almeno all’inizio, volare basso: tutti abbiamo bisogno di cibo, di reddito, di assistenza medica, di una casa, di energia elettrica, di servizi finanziari, di un ambiente sano, di accesso alle tecnologie di comunicazione e così via. Se si pensa di essere in grado di soddisfare, anche in misura minima, qualcuno di questi bisogni in modo accessibile ai poveri, non bisogna esitare, ma andare avanti cercando di associare nell’impresa tutti coloro che possano facilitarla ed essere d’aiuto. L’obiettivo centrale va elaborato in modo molto chiaro così da non rischiare di trovarsi alla fine a fare qualcosa di diverso da ciò che si era stabilito.

Bisogna essere sicuri che il progetto porti all’obiettivo che si è definito attraverso la fornitura di un prodotto o di un servizio e garantirsi che si percepisca un’evidente connessione fra l’obiettivo e il prodotto dell’attività. Non ci si deve aspettare un successo brillante dalla prima versione di un’impresa con finalità sociali, anzi, di solito si comincia con un fallimento. È un po’ come mettere in orbita un razzo: pensate a quanti ne sono esplosi quando erano ancora sulla piattaforma di lancio nel corso dei programmi spaziali russi e americani degli anni sessanta e settanta. Ma di ogni fallimento si è fatto tesoro per proseguire nel cammino verso il successo fino al 1969, quando finalmente tutto il mondo ha potuto assistere allo sbarco del primo uomo sulla Luna. È così che funziona il metodo sperimentale. Siccome nessun progetto funziona in modo perfetto al primo colpo, c’è sempre bisogno di ritocchi o modifiche, anche quando sembra di aver sistemato le cose si presenta un nuovo intoppo e bisogna tentare ancora confidando nella propria inventiva e, prima o poi, si riesce a farlo decollare. In questo consiste la creatività, non arrendersi mai, partire da un’idea e continuare a provare finché non la si vede funzionare. […]