Come scoprire se rischi l’osteoporosi

Rischio osteoporosi? Lo rilevano nuovi marker. Grazie ai ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr di Milano sarà possibile identificare i gruppi a rischio e intervenire con misure legate allo stile di vita o con terapie farmacologiche prima che la malattia diventi conclamata.

L’osteoporosi colpisce prevalentemente le persone anziane e interessa soprattutto le donne, in relazione ai problemi ormonali legati alla menopausa. Ma anche gli uomini hanno le ossa sempre più fragili, anche se il più delle volte non sanno di aver raggiunto questa nuova ‘parità dei sessi’ di cui avrebbero sicuramente fatto a meno volentieri. Nuove prospettive si aprono però grazie ai ricercatori dell’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano che, in collaborazione con l’Università di Edimburgo (prof S. Ralston) e con l’Università de L’Aquila (prof A. Teti), hanno identificato alcuni marker genetici associati a questa malattia.
“Abbiamo preso in esame 1.077 donne in postmenopausa”, spiega il prof. Paolo Vezzoni dell’Itb-Cnr,“di cui abbiamo analizzato il gene ClCN7, importante nella fisiologia dell’osteoclasta – la cellula che riassorbe l’osso e che quindi contribuisce alla sua demineralizzazione – e che è coinvolto in un’altra malattia dell’osso, l’osteopetrosi”. Il gruppo dell’Itb, di cui oltre a Vezzoni fanno parte Annalisa Frattini, Cristina Sobacchi e Anna Villa, ha individuato alcune varianti genetiche del gene ClCN7, che sono presenti solamente in una parte della popolazione. Si tratta di piccole variazioni del DNA, chiamate polimorfismi (SNP), che possono alterare la funzione di questo gene. I ricercatori hanno correlato questi SNP con la densità ossea, che è un classico indicatore dello stato di mineralizzazione dell’osso. “I nostri studi hanno evidenziato che alcuni di questi polimorfismi erano effettivamente più frequenti nei malati, dimostrando quindi di essere in parte responsabili della predisposizione all’osteoporosi”, conclude Vezzoni, “e i risultati ottenuti aprono una nuova via per combattere questa malattia, che colpisce una donna su tre e un uomo su 12”. La scoperta potrebbe portare anche a una nuova classe di farmaci che modificano la funzione di questo gene e che potranno essere utilizzati prima che la malattia diventi conclamata.

“L’osteoporosi”, sottolinea Vezzoni, “non è solo una malattia multigenica ma anche multifattoriale, cioè ambientale. Questo significa che se anche si avessero tutti i geni difettosi ci si potrebbe comunque non ammalare modificando le proprie abitudini di vita (dieta, attività fisica, stress, ecc). Il fatto di poter individuare una propensione all’osteoporosi potrebbe quindi essere utile in questo senso, stimolando l’individuo a modificare opportunamente il proprio stile di vita”.
Le sofferenze umane e i costi sociali di questa patologia – si parla di una spesa complessiva di decine di milioni di euro annue – sono così elevati che recentemente l’Unione Europea l’ha catalogata tra le malattie da combattere con priorità assoluta. Per comprendere l’entità del problema bastano alcuni dati: negli Stati Uniti ne sono colpiti circa 8 milioni di donne e 2 milioni di uomini che subiscono un milione e mezzo di fratture ogni anno. In Italia circa un terzo delle donne sopra i 60 anni è affetto da questo disturbo.