Rischio poverta’: molto piu’ alto tra gli autonomi che tra i dipendenti

Tra tutti i nuclei che hanno come capofamiglia un lavoratore autonomo, il rischio povertà o esclusione sociale è al 22,7 per cento, mentre la quota riferita a tutte le famiglie con alla guida un lavoratore dipendente è decisamente inferiore e pari al 14,8 per cento. In altre parole, se negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva riduzione del potere d’acquisto dei salari che ha spinto verso l’area dell’indigenza molti operai/impiegati con bassi livelli di inquadramento contrattuale, ai lavoratori autonomi le cose sono andate molto peggio. I fatturati hanno subito delle forti contrazioni e, conseguentemente, la qualità della vita delle partite Iva ha subito un deciso aggravamento. La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi CGIA che ha elaborato i dati dell’Istat.

Qualcuno potrebbe obbiettare che i dati riferiti alla povertà dei lavoratori autonomi sarebbero condizionati da importi reddituali dichiarati non corrispondenti al vero. In realtà, il rischio povertà o esclusione sociale è un indicatore molto complesso che è dato dalla somma delle persone che si trovano in almeno una delle seguenti condizioni: vivono in famiglie a rischio povertà; vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale; vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Ovviamente, tra le categorie monitorate dall’Istat la più disagiata economicamente e socialmente è quella dei pensionati, dove il rischio povertà delle famiglie è addirittura al 33,1 per cento.

Oltre 5 milioni di partite Iva, metà sono forfettari

In Italia il numero dei lavoratori indipendenti è stimato in 5.170.000 unità. Di questi, poco meno della metà opera in regime dei minimi. Stiamo parlando di attività economiche senza dipendenti e senza alcuna organizzazione d’impresa con un fatturato annuo al di sotto degli 85 mila euro. Insomma, una pura e semplice partita Iva che fa dell’autoimprenditorialità la sua ragione lavorativa. È il caso di tanti giovani, di altrettante donne e di molte persone in età avanzata soprattutto del Mezzogiorno che sbarcano il lunario con piccoli lavori/consulenze senza disporre di alcun ammortizzatore sociale e/o sostegno pubblico. Soggetti che faticano a incassare le proprie spettanze e che, nella stragrande maggioranza dei casi, si trovano in condizioni economiche molto fragili e, quindi, a forte rischio di povertà o esclusione sociale.

Rispetto al 2003, reddito autonomi – 30%

Negli ultimi 20 anni il reddito degli autonomi è sceso del 30 per cento, mentre quello dei lavoratori dipendenti è diminuito di “solo” l’8 per cento. Per i pensionati, invece, il dato è rimasto pressoché stabile. La debolezza economica di molte partite Iva, il crollo dei consumi interni – causato dalle crisi economiche che si sono succedute in questi due decenni – e alla concorrenza praticata dapprima dalla grande distribuzione e negli ultimi anni dal commercio elettronico, hanno fiaccato la tenuta reddituale di tantissime micro attività.

Dazi: danni anche a molti lavoratori autonomi

Dal momento che non lavorano direttamente con i mercati stranieri e che sono pochissimi coloro che operano nelle filiere produttive coinvolte nelle esportazioni, i lavoratori autonomi non dovrebbero subire effetti negativi dall’introduzione dei dazi annunciati nei giorni scorsi dal Presidente Trump. Ma le cose potrebbero andare anche diversamente. Se le misure protezionistiche introdotte dall’Amministrazione statunitense dovessero provocare una flessione della crescita economica e un incremento dell’inflazione anche in Italia, gli autonomi più fragili potrebbero essere tra i lavoratori più danneggiati. Ecco perché è necessario, dove possibile, diversificare i mercati di vendita all’estero dei nostri prodotti e rilanciare la domanda interna, attraverso la messa a terra del PNRR e una ripresa dei consumi che potrebbe essere agevolata proseguendo nella riduzione delle imposte a famiglie e imprese.

In Italia in difficoltà 13,5 milioni di persone

In termini assoluti tutta la popolazione a rischio povertà o esclusione sociale presente in Italia è a pari a 13,5 milioni di persone (23,1 per cento del totale abitanti). Di questi, 7,7 milioni (pari al 57 per cento del totale) sono residenti nel Mezzogiorno. La regione che ne conta di più è la Campania con 2,4 milioni. Seguono la Sicilia con 1,9, il Lazio con quasi 1,5 e la Puglia con 1,46. Se, invece, prendiamo come riferimento la percentuale a rischio povertà sul totale abitanti, la regione con la quota più elevata è la Calabria (48,8 per cento). Seguono la Campania (43,5), la Sicilia (40,9) e la Puglia (37,7).

Definizione di rischio povertà o esclusione sociale

L’indicatore è dato dalla somma delle persone che si trovano in almeno una delle seguenti tre condizioni:

1) vivono in famiglie a rischio di povertà;
2) vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (indicatore Europa 2030);
3) vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (indicatore Europa 2030). Le persone sono conteggiate una sola volta anche se sono presenti su più sub-indicatori.

Le persone a rischio di povertà sono coloro che vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano disponibile, dopo i trasferimenti sociali. Nel 2024 la soglia di basso reddito, calcolata su redditi 2023, è pari a 12.363 euro annui (1.030 euro al mese) per una famiglia di un componente adulto.

Le persone in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (indicatore Europa 2030) sono coloro che vivono in famiglie che registrano almeno 7 segnali di deprivazione materiale e sociale su una lista di 13 (sette relativi alla famiglia e sei relativi all’individuo) indicati di seguito.

Segnali familiari:

1) non poter sostenere spese impreviste;
2) non potersi permettere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa;
3) essere in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito;
4) non potersi permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni;
5) non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione;
6) non potersi permettere un’automobile;
7) non poter sostituire mobili danneggiati o fuori uso con altri in buono stato. Segnali individuali:
8) non potersi permettere una connessione internet utilizzabile a casa;
9) non poter sostituire gli abiti consumati con capi di abbigliamento nuovi;
10) non potersi permettere due paia di scarpe in buone condizioni per tutti i giorni;
11) non potersi permettere di spendere quasi tutte le settimane una piccola somma di denaro per le proprie esigenze personali;
12) non potersi permettere di svolgere regolarmente attività di svago fuori casa a pagamento;
13) non potersi permettere di incontrare familiari e/o amici per bere o mangiare insieme almeno una volta al mese.

Le persone che vivono in famiglie a intensità lavorativa molto bassa (indicatore Europa 2030) sono coloro che vivono in famiglie per le quali il rapporto fra il numero totale di mesi lavorati dai componenti della famiglia durante l’anno di riferimento dei redditi (quello precedente all’anno di rilevazione) e il numero totale di mesi teoricamente disponibili per attività lavorative è inferiore al 20%.

Per saperne di più: cgiamestre.com

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