Scoperte dall’Istituto di biofisica e dall’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare del Cnr le basi molecolari delle placche che caratterizzano la degenerazione cerebrale senile. Lo studio apre la strada a nuove prospettive di prevenzione
Le responsabili dell’Alzheimer non sono, come si pensava, le fibrille che il Beta Amiloide (ßA) forma sui neuroni dei malati, bensì aggregati più piccoli ma più temibili: oligomeri di ßA. A evidenziarlo è uno studio condotto sull’embrione di riccio di mare dai ricercatori dell’Istituto di biofisica (Ibf) e dell’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare “Alberto Monroy” (Ibim) del Consiglio nazionale delle ricerche di Palermo, coordinati da Pier Luigi San Biagio (Ibf) e Marta Di Carlo (Ibim).
“L’Alzheimer costituisce una delle grandi emergenze sociali e sanitarie di questi anni”, dice San Biagio dell’Ibf-Cnr. “A livello neuropatologico, com’è noto, questa malattia è caratterizzata da una degenerazione del tessuto cerebrale, il quale viene ‘attaccato’ da placche senili il cui principale componente è il ß Amiloide. Questo peptide è un prodotto del metabolismo cellulare e circola normalmente nei fluidi corporei, ma sui neuroni dei malati di Alzheimer può precipitare in forma di fibrille e di altri aggregati oligomerici, una sorta di fibrille più piccole e sottili”.
Lo studio in vitro e in vivo attuato dai due Istituti del Cnr per evidenziare nuovi aspetti legati all’aggregazione di questa sostanza e alla sua incidenza patologica, mediante tecniche spettroscopiche e di scattering di luce, precisa San Biagio, “ha permesso di comprendere le basi molecolari del meccanismo di formazione delle fibrille (fibrillogenesi). Nell’osservazione in vivo effettuata sull’embrione di riccio di mare, il cui funzionamento cellulare da un punto di vista biochimico è simile a quello dei mammiferi, è emerso poi che i monomeri e gli oligomeri di ßA producono un maggior numero di malformazioni negli embrioni rispetto alle fibrille e che talvolta arrivano a causare la loro morte cellulare (apoptosi). Questa ricerca, dunque, avvalora l’ipotesi che siano gli oligomeri più che le fibrille la causa primaria del disturbo; le fibrille possono anzi essere considerate un meccanismo di difesa messo in atto dall’organismo per ridurre l’azione tossica degli oligomeri”.
I risultati della ricerca, che è stata pubblicata sulla rivista internazionale Faseb Journal Express del 3 luglio, costituisce un primo passo verso lo sviluppo di una possibile prevenzione primaria dell’Alzheimer. Obiettivi futuri saranno la comprensione dei meccanismi alla base dei processi neurodegenerativi messi in atto dagli oligomeri del ß Aamiloide nell’uomo e l’identificazione dei meccanismi di attivazione della ‘morte programmata’, oltre all’individuazione di sostanze – farmaci, metalli o specifici peptidi sintetici – in grado d’interferire sulla formazione delle fibrille e agire come potenziali agenti terapeutici.
Per saperne di più: Consiglio Nazionale delle Ricerche