Residui alimentari contro la Co2

Si ispira a un’antica tecnica usata dalle popolazioni precolombiane della regione amazzonica il progetto Itabi (Italian Biochar Initiative) sviluppato dall’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr per promuovere l’uso del Biochar in agricoltura. A spingere all’uso di questa metodologia, la scoperta nella zona di terreni caratterizzati da un alto contenuto in materiale carbonioso (black carbon), fino a oltre 70 volte più dei suoli circostanti.

“L’ipotesi corrente è che questo carbone vegetale sia stato prodotto dalla combustione incompleta di parti vegetali e introdotto volontariamente nel terreno dalle popolazioni locali, nel corso di migliaia di anni: l’antica tecnica del ‘taglia e carbonifica’, alternativa al ‘taglia e brucia”, spiega Franco Miglietta dell’Ibimet.

“E’ noto infatti che le piante assorbano Co2 dall’atmosfera per poi rilasciarla quando terminano il loro ciclo di vita, mentre trattenendole nel terreno si possono ridurre le emissioni di questo inquinante nell’atmosfera”. Il biochar può essere ottenuto a partire da numerosi tipi di residui: stocchi di mais, paglia, gusci di noce, pula di riso, scarti di potatura e lavorazione del legno, ma anche da biomasse appositamente coltivate per essere carbonificate.

“La pirolisi (processo di decomposizione termochimica di materiali organici) dalla biomassa produce, oltre al biochar, anche gas combustibile che può essere utilizzato come fonte di energia per avviare una nuova pirolisi o come combustibile per la produzione di energia elettrica o termica”, prosegue Miglietta. “La carbonificazione di biomasse e l’interramento nei suoli agricoli potrebbe rappresentare inoltre un’opzione sostenibile per gestire i residui colturali, con molteplici vantaggi per il terreno, che vedrebbe migliorare le sue proprietà meccaniche e accrescere gli elementi nutritivi, in particolar modo l’azoto, contribuendo così a un aumento sostanziale delle rese agricole in numerose colture”.

I primi esperimenti fatti dall’Itabi in Toscana hanno dimostrato che l’aggiunta di 10t/ha ha sequestrato oltre 30t/ha di Co2 atmosferica nel suolo, facendo aumentare al contempo la produzione di frumento duro del 15%.
(Fonte: Almanacco della Scienza – CNR)

Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR