Quando la spazzatura è nel piatto

È diffuso, specialmente tra i giovani, il consumo di alimenti a elevato apporto calorico e ridotto valore nutrizionale, con effetti negativi che vanno dal sovrappeso e obesità all’aumento di rischio cardiovascolare e di tumori. Roberto Volpe, medico dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr.

Sebbene l’Italia sia nota in tutto il mondo per la sua apprezzata cucina e per la salubrità dei sui piatti, come dimostra il riconoscimento da parte dell’Unesco della Dieta mediterranea quale patrimonio immateriale dell’umanità, si diffonde anche nel nostro Paese il consumo del cosiddetto cibo spazzatura, costituito da alimenti caratterizzati da elevato apporto calorico e ridotto valore nutrizionale. Secondo i dati 2019 del Sistema di Sorveglianza OKkio alla salute (link sotto), i bambini (età 8-9 anni) in sovrappeso sono il 20,4%, quelli obesi il 9,4%, compresi i bambini gravemente obesi che rappresentano il 2,4%; le bambine in sovrappeso e obese sono rispettivamente il 20,9% e l’8,8%. Nel corso degli anni la percentuale di bambini in sovrappeso è diminuita (da 23,4 % nel 2008-9 a 20,4% nel 2019) mentre l’obesità è rimasta sostanzialmente stabile (9.3% nel 2016 e 9.4% nel 2019).

Alla base delle scelte di alimenti dannosi per la salute ci sono vari motivi, non sempre e non solo legati al gusto. “L’acquisto e il conseguente consumo di junk food va messo in relazione con tanti fattori, quali il prezzo: il cibo salutare non sempre è economico, mentre junk food è spesso a buon mercato”, sottolinea Roberto Volpe, medico dell’Unità prevenzione e protezione del Cnr. “I cibi spazzatura, inoltre, sono pubblicizzati con strategie di marketing mirate soprattutto alle nuove generazioni.

Vediamo più dettagliatamente quali sono i cibi spazzatura. “Con questa espressione s’intendono quegli alimenti, per lo più industriali, preparati con salse e/o fritti, ricchi in grassi, zuccheri – e conseguentemente in calorie – e in sale e che, pertanto, risultano anche saporiti e allettanti soprattutto per gli adolescenti”, spiega il ricercatore. “Il problema è che presentano un valore nutrizionale molto ridotto in quanto poveri in fibre, vitamine, antiossidanti, omega-3. Per fare qualche esempio, si tratta di carni industriali già preparate, come gli hamburger, di cotolette panate e fritte, di wurstel, di patatine fritte o in busta notoriamente ricche in sale, in grassi e in calorie. Ma rientrano nel junk food anche le pizze surgelate, le merendine più o meno farcite che, oltre a zuccheri e grassi saturi, possono contenere i pericolosi acidi grassi idrogenati o trans; e poi le bibite gassate, ricche in zuccheri (una lattina da 330 cc contiene 3,5 bustine di zucchero)”. Naturalmente queste caratteristiche sono relative al pregio, espresso al prezzo, di tale prodotti.

Quale che sia la spinta che induce ad assumere di junk food, bisogna considerare i richi potenziali, che non si limitano, al solo aumento di peso. “Errate abitudini alimentari e obesità predispongono a diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa e allo stress ossidativo, tutti fattori di rischio cardio-metabolici. Ne consegue una maggiore possibilità di contrarre malattie cardiovascolari, ma anche tumori. Senza dimenticare che infarti del miocardio e ictus cerebrali, nel loro insieme, in Europa, costituiscono il 22% e il 18% delle cause di decessi rispettivamente degli uomini e delle donne che muoiono prima dei 65 anni”, ricorda Volpe. “Morti premature che in gran parte potrebbero essere evitate. Se infatti un’alimentazione non corretta, che comporta ad esempio un aumento dell’assunzione di sale e di grassi saturi e trans, può essere associata al rischio cardiovascolare, è altrettanto vero che un’alimentazione sana a base di cereali integrali, pesce, frutta e verdura determina una riduzione di tale rischio”.

Per proteggere la salute di tutti, dai bambini agli anziani, è necessario intervenire con azioni e strumenti diversi finalizzati alla riduzione del consumo del cibo spazzatura. “Per diminuire l’assunzione di junk food è opportuno informare le persone, a iniziare dagli adolescenti, soggetti più vulnerabili e pertanto più esposti alle lusinghe della pubblicità ‘aggressiva’. Ma è fondamentale anche contrastare le diseguaglianze socio-economico-culturali, perché un consumo non salutare può dipendere da fattori quali il reddito, l’istruzione, la formazione”, conclude Volpe. “Occorre pertanto lavorare a livello politico per incentivare la produzione di cibi sani; regolamentare la pubblicità dei cibi non salutari; spingere le aziende a riformulare in ottica salutistica i loro prodotti; prevedere nelle scuole seminari informativi rivolti agli studenti; introdurre nelle mense e nelle macchinette distributrici di alimenti prodotti a medio-basso contenuto in grassi, zuccheri, sale e calorie, come yogurt in vasetti e da bere, succhi di frutta senza zuccheri aggiunti, fette biscottate, crackers senza grassi aggiunti, patatine non fritte, frutta fresca essiccata, biscotti e barrette ipocalorici”.

Fonte: Almanacco Della Scienza – Cnr

Sistema di Sorveglianza OKkio alla salute