Più salute con i fagioli modificati

Legumi che assicurano una migliore assimilazione di micronutrienti sono stati prodotti dai ricercatori dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr (Ibba-Cnr) di Milano con i colleghi del Consiglio per la ricerca in agricoltura e dell’Università di Pavia. Senza ricorrere a tecniche transgeniche. I risultati presentati ad un convegno in Argentina.

Poveri ma buoni e adesso ancora più nutrienti, grazie ad una ricerca dell’Ibba-Cnr. Riabilitati dalla dieta mediterranea, che ha riportato l’attenzione su questi antichi ortaggi che sono alla base dell’alimentazione di molte popolazioni, i legumi devono la loro importanza al fatto di essere una ricca fonte di proteine a basso costo. “Però contengono acido fitico, un composto che ha effetti antinutrizionali nell’uomo e degli animali monogastrici”, spiega Tella Galasso, ricercatrice dell’Istituto Cnr, “poiché riduce l’assorbimento di minerali come ferro, zinco, calcio, magnesio e rame, con cui forma sali (fitati) che non vengono assorbiti a livello intestinale e sono per lo più escreti, causando carenze alimentari anche gravi”. La presenza di acido fitico rappresenta quindi un serio problema per l’alimentazione, in particolare nel fagiolo, la leguminosa più coltivata nel mondo per il consumo umano, e per le popolazioni dell’America centro-meridionale, che presentano carenze nutrizionali di microelementi. “Inoltre, la presenza di acido fitico è in parte collegata a quello di altri fattori antinutrizionali, i raffinosaccaridi, che sono la causa della flatulenza”, precisa la ricercatrice.

La produzione di varietà con ridotto contenuto di questi composti, ad oggi non presenti in commercio, è un obiettivo prioritario. L’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr di Milano, in collaborazione con il Dott. Bruno Campion del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e il Prof. Erik Nielsen del Dipartimento di Genetica e Microbiologia dell’Università di Pavia, ha intrapreso una ricerca con lo scopo di produrre fagioli notevolmente migliorati sotto il profilo delle qualità nutrizionali proprio mediante la diminuzione del contenuto di acido fitico e raffinosaccaridi. “Per questo fine abbiamo utilizzato una tecnica sperimentata da decenni per accelerare il processo naturale delle mutazioni, con il risultato di incrementare la variabilità genetica dei vegetali”, spiega Francesca Sparvoli, ricercatrice dell’Ibba-Cnr. “Essa consiste in un trattamento con agenti chimici e quindi nell’individuazione e isolamento dei mutanti di interesse eventualmente prodotti. In questo modo si possono ottenere nuovi caratteri genetici agendo direttamente sul DNA della pianta, evitando manipolazioni con tecniche transgeniche (introduzione di materiale genetico dall’esterno)”.

Sono stati trattati oltre 6000 semi e questi hanno generato 1774 piante fertili. L’analisi dei semi di queste piante ha permesso di individuare otto piante con ridotto contenuto di acido fitico e di raffinosaccaridi nei semi. Uno di questi semi ha generato una pianta i cui i semi erano tutti a ridotto contenuto dei due composti. “Sarà ora possibile ipotizzare un programma di miglioramento genetico classico”, conclude Francesca Sparvoli, “e, mediante incroci e selezione, trasferire questo carattere su varietà coltivate”.
I primi risultati sono stati presentati ad un convegno internazionale tenutosi recentemente a Salta, Argentina e, con opportuni finanziamenti, la ricerca proseguirà per confermare la presenza, la trasmissibilità e le basi molecolari del nuovo carattere genetico.