La prevenzione attiva sul luogo di lavoro permette la riduzione del rischio cardiovascolare dei dipendenti monitorati. Lo conferma uno studio sui dipendenti della Fao di Roma, coordinato da Roberto Volpe del Cnr, mirato alla modificazione dello stile di vita e, quando necessario, al trattamento farmacologico.
I luoghi di lavoro visti non più solo per l’esposizione a rischi specifici, ma come ambiti di aggregazione dove sviluppare interventi comunitari di promozione della salute e di prevenzione delle malattie. E’ la filosofia dello studio condotto, nell’ambito del “Coronary Heart Disease Prevention Program”, nato in collaborazione tra il Servizio di prevenzione e protezione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma e il Medical Service della Fao (Food and Agriculture Organization) di Roma.
“Lo studio, in sintonia con il Documento dell’Executive Board dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla prevenzione delle malattie cronico-degenerative nei luogi di lavoro”, spiega Roberto Volpe, del Servizio prevenzione e protezione del Cnr di Roma responsabile dell’iniziativa, “è iniziato nel 2003. Tutt’ora in corso, è condotto sulla popolazione multietnica lavorativa della Fao di Roma, maschile (dai 45 anni in su) e femminile (dai 50 anni in su) con lo scopo di valutare la prevalenza dei principali fattori di rischio cardiovascolare e il rischio di insorgenza di un evento vascolare (infarto del miocardio, ictus cerebrale, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, diabete, ipertensione arteriosa, obesità, fumo) nei successivi 10 anni, calcolato utilizzando un programma computerizzato basato sui dati del Framingham Heart Study”.
Dei 632 dipendenti (359 uomini e 273 donne) che hanno partecipato allo studio i 212 (35,5%) portatori di più fattori di rischio o anche di un solo fattore di rischio ma di entità elevata, sono stati invitati per un follow-up di visite ambulatoriali. Di questi, hanno aderito al programma in 124 (58,5%), in genere quelli a maggior rischio calcolato.
“Dopo 5 anni”, aggiunge Josef Pille, direttore del Medical Service della Fao, “a un nuovo screening generale per valutare lo stato di salute cardiovascolare del personale, nel gruppo d’intervento si è ottenuto un netto miglioramento di tutti i principali fattori di rischio (fumo e obesità in primis), con una riduzione del rischio a 10 anni, da 13,9 a 7,8 (-43,9%). Al contrario, nel gruppo di soggetti che non ha partecipato al monitoraggio ambulatoriale, si è avuto un peggioramento di tutti i fattori di rischio cardiovascolare a 10 anni, passato da 6,8 a 10,5 (+35,2%). “Va sottolineato che tale risultato è stato ottenuto con un costo annuale di meno di 14.000 euro”, conclude Volpe, “pertanto, nell’ambito di un programma di prevenzione attiva in un luogo di lavoro, mirato alla modificazione dello stile di vita e, quando necessario, anche basato sul trattamento farmacologico, può permettere di raggiungere, in soggetti motivati e aderenti, valori di fattori di rischio in sintonia con le Linee Guida sulla riduzione del rischio cardiovascolare. Tali esperienze suggeriscono una possibile evoluzione dalla medicina del lavoro in senso classico a una medicina in ambiente di lavoro, la cosiddetta workplace-medicine, al fine di una migliore prevenzione e protezione del personale”.
Per saperne di più: Consiglio Nazionale delle Ricerche