Non si tratta di uno slogan creato per lanciare una nuova dieta dimagrante, ma delle conclusioni di una ricerca condotta dall’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale (Ieos) del Cnr di Napoli. L’Istituto, studiando l’influenza del tessuto adiposo e dello stato nutrizionale dell’organismo sulla risposta immunitaria, ha individuato infatti un nesso tra la leptina (dal greco ‘leptos’, sottile), sostanza prodotta principalmente dal grasso corporeo, e presenza di malattie autoimmunitarie.
“Nei nostri studi, iniziati circa quattro anni fa, abbiamo notato”, spiega Giuseppe Matarese dell’Ieos-Cnr, “che la leptina è una sostanza in grado sia di regolare il senso di sazietà che di influenzare profondamente la funzione dei linfociti T, che costituiscono una delle più importanti barriere della risposta immunitaria. Osservando in laboratorio topi geneticamente mancanti della leptina, si è osservato infatti che, oltre ad essere obesi, erano anche immunodepressi e, quindi, più suscettibili alle infezioni, perché avevano un numero di linfociti T molto più basso rispetto ai topi normali. Bastava però somministrare loro leptina per vedere ripristinati tanto una normale funzione immunitaria quanto il peso regolare”.
Stabilito il nesso tra malnutrizione – che significa scarso tessuto adiposo e dunque poca leptina – e immunodepressione, il passo successivo è stato capire cosa succede invece alla leptina in presenza di malattie in cui il sistema immunitario è, al contrario, iperfunzionante nei confronti di strutture proprie, come avviene nel caso delle malattie infiammatorie e autoimmuni. “Studiando a livello sperimentale la suscettibilità di topi leptino-deficienti a una malattia autoimmune del sistema nervoso centrale, l’encefalite autoimmune, corrispondente della sclerosi multipla dell’uomo, abbiamo visto che questi animali in assenza di leptina non sviluppavano la malattia, ma era sufficiente somministrare loro l’ormone per renderli attaccabili dal disturbo come i topi normali; un abbassamento della leptina, attraverso un digiuno di 48, al contrario, determinava riduzione della gravità e dei sintomi della patologia”.
Trasferendo dal topo all’uomo i risultati raggiunti è facile capire come il sovrappeso, tipico delle nazioni ricche, possa avere un ruolo non indifferente nell’aumento della frequenza delle malattie autoimmuni. Non a caso queste ultime colpiscono maggiormente le donne, che, rispetto agli uomini, a parità di peso corporeo, producono maggiore quantità di leptina. Queste importanti conclusioni sono state confermate di recente dallo studio effettuato dall’Ieos-Cnr su pazienti affetti da sclerosi multipla. “Esaminando questi soggetti”, precisa Matarese, “si è scoperto che la leptina è prodotta in eccesso a livello sierico, ma soprattutto a livello del liquido cefalo rachidiano (liquido che funge da protezione e invlucro per il sistema nervoso centrale). E’ inoltre emerso che l’aumento dell’ormone è rilevabile solamente in fase acuta e non sotto trattamento terapeutico e, quindi, che il suo ruolo è importante nella fase iniziale e scatenante della malattia”. Modulare la produzione di leptina mediante un approccio nutrizionale e farmacologico potrebbe pertanto rivelarsi fondamentale per curare le più frequenti malattie autoimmunitarie: dalla sclerosi multipla all’artrite reumatoide.
(Fonte: CNR, Almanacco della Scienza – Giuseppe Matarese, Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale del Cnr, Napoli)