Grandi quantità di particelle si formano nelle valli himalayane a partire da precursori gassosi di origine naturale e possono essere trasportate in quota grazie ai sistemi dei venti di valle, fino in alta atmosfera, e possono influenzare il clima agendo come nuclei di condensazione delle nuvole.
L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac) di Bologna ha osservato in Nepal come la formazione di particelle da processi biologici nella troposfera, lo strato dell’atmosfera più vicino alla Terra, possa influenzare il cambiamento climatico locale. I risultati sono pubblicati su Nature Geoscience
L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Bologna ha condotto osservazioni in continuo per un decennio presso il Nepal Climate Observatory at Pyramid, a 5.079 m di quota, nei pressi del campo base per la salita sul Monte Everest, dove è possibile studiare la formazione del particolato lontano dalle sorgenti antropiche. I risultati – pubblicati sulla rivista Nature Geoscience – dimostrano che grandi quantità di particelle si formano nelle valli himalayane a partire da precursori gassosi di origine naturale e possono essere trasportate in quota grazie ai sistemi dei venti di valle, fino in alta atmosfera, e possono influenzare il clima agendo come nuclei di condensazione delle nuvole.
“La formazione di nuove particelle è un fenomeno comune, ma i meccanismi che regolano questo processo sono ancora in parte sconosciuti. Per la prima volta siamo riusciti a provare che in questa valle, con molta probabilità, i gas precursori di particelle sono composti organici emessi dalla vegetazione a quote più basse”, afferma Angela Marinoni del Cnr-Isac. “Durante il trasporto lungo la valle, questi gas sono convertiti da reazioni fotochimiche in composti a volatilità molto bassa, che mutano rapidamente in un numero elevatissimo di nuove particelle. Queste sono poi trasportate nella troposfera libera. Possiamo quindi pensare alla catena himalayana come a una grande fabbrica che produce continuamente nuove particelle e le trasporta nell’atmosfera sopra l’Everest, aumentandone il numero anche più del doppio”, prosegue Bonasoni del Cnr-Isac.
Le particelle appena formate hanno un’origine naturale con evidenze di coinvolgimento di inquinanti antropici (presenza di anidride solforosa) trascurabili. “Il processo è quindi probabilmente immutato dal periodo preindustriale a oggi e può rappresentare una delle principali fonti che hanno contribuito all’aerosol in alta atmosfera da sempre. Queste osservazioni sono quindi importanti per stimare meglio la concentrazione di base nel periodo preindustriale per gli aerosol in tutta la regione. L’inclusione di tali processi in modelli climatici può migliorare la comprensione del cambiamento delle condizioni atmosferiche e la previsione del clima futuro. Ulteriori ricerche dovranno essere condotte per quantificare meglio questo fenomeno e per indagarlo anche in altre regioni di alta montagna”, conclude Marinoni.
Fonte: CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche
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