Un equipaggio di sei persone nei giorni scorsi ha terminato il suo soggiorno di due settimane nel deserto dell’Utah all’interno di una scatola di sardine a due vani – il Mars Desert Research Station.
Il luogo, per le sue caratteristiche (colore rosso, roccioso, desolato) è quanto di più simile al paesaggio di Marte esistente sul nostro pianeta. No, non si tratta di un altro esempio di Reality TV, ma di un serio esperimento scientifico approntato allo scopo di stimolare la ricerca e l’esplorazione nelle stesse condizioni in cui si verrebbe a trovare un equipaggio di astronauti su Marte. Un test studiato per mettere a punto strategie esplorative, strumenti da utilizzare, tecnologie, e strategie per la selezione dell’equipaggio in vista di una futura missione di questo tipo. Il progetto MARS (Mars Analog Research Station) del quale l’esperimento nell’Utah è parte integrante, è stato organizzato dalla Mars Society, il cui scopo primario è quello di approntare viaggi spaziali su Marte aventi equipaggio umano. La società, attraverso esperimenti strani e sensazionali, cerca di ottenere visibilità e supporto nell’audience mondiale.
Tra i suoi progetti più imminenti, la fondazione di basi “marziane” in regioni isolate e desolate del mondo che abbiano analogie climatiche o geologiche con l’ambiente del pianeta rosso. Quattro di queste basi saranno realizzate nel sud-ovest degli Stati Uniti, in Islanda, nell’entroterra australiano e nell’artico canadese. L’habitat della stazione di ricerca era piuttosto low-tech – un cilindro su due livelli di sette metri di diametro montato su due montanti per l’atterraggio -, ma ha attirato molti aspiranti di un certo livello: tra i partecipanti delle missioni di due settimane molti biologi, geologi, ingegneri aerospaziali, molti dei quali della NASA, tutti aspiranti astronauti. Il periodo trascorso nella navetta ha messo a dura prova l’equipaggio, che ha potuto scoprire i molti disagi connessi con una missione di questo tipo: molta manutenzione, diverse difficoltà con l’igiene e veramente poca scienza! La prima attività al di fuori del veicolo è consistita nella riparazione di una pompa dell’acqua. L’impedimento causato dalle tute spaziali ha reso l’operazione (in teoria molto semplice) lunga e difficile. Altra operazione che inaspettatamente ha richiesto un lungo dispendio di tempo ed energie è la preparazione dei pasti: 16 ore (!) al giorno per cuocere cibi macrobiotici, consistenti principalmente in verdure in foglia e cereali, che si ritiene potrebbero essere coltivati più facilmente su Marte.
Soffermandoci sugli aspetti più propriamente scientifici, l’equipaggio ha utilizzato dei veicoli di terra che assomigliano ai moon buggies, per effettuare rilievi geologici e raccogliere le argille formate da colonie di microbi che abitano le inospitali rocce del deserto. Simili studi geologici, se effettuati su Marte, potrebbero rivelare segni di vita. L’equipaggio dell’ultima missione annoverava anche il regista Trevor Burbank, che così ha commentato l’insolita esperienza: “Sono favorevole al fatto che l’uomo vada su Marte, ma non sento più la necessità di andarci di persona. Dopo due settimane in quella navetta nel deserto sono uscito con l’impellente bisogno di visitare… la Terra – un pianeta da esplorare fino in fondo. E non c’è neanche bisogno della tuta spaziale!”.