Obesità, un gene aiuta a curarla

Un gruppo di ricercatori dell’Inn-Cnr ha scoperto un nuovo gene associato all’obesità. Il risultato apre nuove possibilità di intervento per la cura delle malattie determinate dall’obesità.

Le cause dell’obesità sono molteplici: fattori ambientali, abitudini alimentari e predisposizione genetica. Sebbene quest’ultimo aspetto sia ormai scientificamente comprovato, identificare i geni coinvolti attraverso approcci tradizionali, come la mappatura mediante analisi di linkage, risulta, però, difficile perché si tratta di una malattia multifattoriale e quindi assai complessa. Da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Neurogenetica e Neurofarmacologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Cagliari (Inn-Cnr) arriva la scoperta, pubblicata sulla rivista Plos Genetics, della correlazione esistente tra l’obesità ed un gene, denominato FTO (Fat Mass- And Obesity-Associated). “I dati sono stati ottenuti mediante l’utilizzo di una tecnica all’avanguardia, chiamata ‘genome-wide association scan’, che consente di analizzare il genoma in maniera globale”, spiega Manuela Uda, ricercatrice dell’Inn-Cnr. “L’analisi, che ha permesso di identificare alcune varianti geniche associate all’obesità, è stata condotta su un campione di oltre 4000 individui sardi, di età compresa tra i 14 e i 102 anni, provenienti da quattro città della Valle di Lanusei, nella provincia dell’Ogliastra.

In particolare, una di queste varianti, cioè una sequenza specifica all’interno del gene FTO, risulta presente con una frequenza molto elevata, pari al 46%, e correlata in maniera altamente significativa all’aumento di tre caratteri tipici dell’obesità, l’indice di massa corporea-BMI (p = 8.6 x 10-7), la circonferenza dei fianchi (p = 3.4 x 10-8) ed il peso corporeo (p= 9.1 x 10-7)”. “Considerando che il valore ‘p’ esprime l’efficacia della correlazione dal punto di vista statistico e che valori di p inferiori a 0,01 sono già significativi, si deduce quanto sia stringente la relazione tra la presenza della variante genica di FTO e i tre caratteri esaminati”, prosegue la ricercatrice. “Una ulteriore conferma della associazione tra FTO e obesità è data da una analisi condotta su campioni della popolazione nordamericana, di origine sia europea che ispanica, in cui la variante genica di FTO è presente con una frequenza media pari al 38% e l’associazione tra la variante genica di FTO e i tratti di BMI, circonferenza dei fianchi e peso, già molto significativa (valori di p inferiori a 0,001) lo è comunque molto meno di quella rilevata dalla ricerca nell’Ogliastra. Il risultato è, dunque, estendibile anche ad altre popolazioni, ma conferma l’importanza di quella sarda per gli studi di genetica”.

A sottolineare quanto il sovrappeso e l’obesità siano responsabili di una serie di gravi patologie che comportano una ridotta aspettativa di vita ed un notevole aggravio socio-economico, si consideri che “l’obesità rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio per l’insorgenza di malattie croniche come il diabete di tipo 2, l’ipertensione e le patologie cardiovascolari, e che alti valori di BMI possono essere anche causa di mortalità prematura. La nostra scoperta è, dunque, particolarmente importante, considerando anche il potenziale impatto clinico e terapeutico sulle malattie correlate”, conclude Manuela Uda. “L’approccio genetico su larga scala offre il vantaggio di individuare nuove relazioni tra l’obesità e le vie metaboliche, quindi nuovi targets terapeutici. Al momento, la terapia migliore contro l’obesità è infatti considerata la prevenzione”.
Stime recenti rivelano che negli ultimi dieci anni l’obesità in Italia è aumentata del 50%, soprattutto nei soggetti in età pediatrica e nelle classi socio-economiche più basse. Le spese socio-sanitarie relative nel nostro Paese sono stimate in circa 23 miliardi di euro annui. La maggior parte dei costi (più del 60 per cento) è dovuta all’incremento della spesa farmaceutica e ai ricoveri ospedalieri.
Per saperne di più: Consiglio Nazionale delle Ricerche