Risolvere di mattina un problema lasciato in sospeso la sera precedente è un’esperienza comune, come sottolinea anche il proverbio ‘la notte porta consiglio’.
“Questo detto corrisponde decisamente al vero”, spiega Angelo Gemignani dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr. “Nel 2004 un esperimento pubblicato su ‘Nature’ ha dimostrato che il sonno facilita in modo significativo le capacità di intuito: una notte di sonno rispetto a un periodo di uguale durata di veglia agevola nel 60% dei soggetti sottoposti a test la risoluzione precoce di un semplice problema matematico”.
Uno studio del 2006 su ‘Biological Psychiatry’, inoltre, ha rilevato un meccanismo analogo nel caso di ricordi emozionali. In pratica, un gruppo di persone memorizzava un testo a contenuto emotivo e uno a contenuto neutro e poi riposava per tre ore, mentre un altro gruppo faceva lo stesso, ma senza riposare. A distanza di quattro anni, chi aveva dormito ricordava meglio degli altri il testo a contenuto emotivo, mentre non si osservava alcuna differenza nel caso del testo neutro.
“Gli autori hanno ipotizzato che il Rem, la fase del sonno in cui si sogna, possa favorire a livello cerebrale un ambiente fisiologico ideale per il miglioramento delle connessioni neurali alla base della memoria emozionale”, prosegue il ricercatore dell’Ifc-Cnr. “L’elettroencefalografia Eeg permette di studiare tali connessioni rilevando le oscillazioni del potenziale di membrana dei neuroni corticali, che caratterizzano l’attività elettrica del cervello. In un nostro studio, pubblicato su ‘PLoS One’ nel 2009, l’Eeg durante il sonno ‘a onde lente’ ha evidenziato una particolare rappresentazione grafica dell’attività neuronale, definita Sso (Sleep Slow Oscillation). Tale andamento è strettamente legato alla plasticità delle sinapsi, le strutture che consentono la comunicazione tra i neuroni, a sua volta connessa all’apprendimento implicito e alla memoria dichiarativa”.
La Sso sembra inoltre rivestire un ruolo centrale nell’omeostasi sinaptica, un processo che controlla e bilancia l’attività delle sinapsi, che tenderebbe a favorire il consolidamento della memoria. “Capire come possa avvenire questo meccanismo permetterà di creare nuove strategie terapeutiche”, conclude Gemignani. “Tali metodi potranno servire a impedire selettivamente il rafforzamento di quei ricordi che possono implicare patologie come la depressione e il disturbo post-traumatico da stress”.
(Fonte: Almanacco della scienza)
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