Secondo il modello teorico di Watson e Crick, scopritori della struttura del Dna, il corso dello sviluppo e dell’evoluzione degli organismi sarebbe già scritto nel nostro patrimonio genetico, da cui partirebbe un flusso di informazioni unidirezionale verso l’Rna e le proteine. Non sappiamo come il padre dell’evoluzionismo avrebbe accolto questa teoria, ciò che è certo è che l’avanzamento degli studi di genetica risultano oggi preziosi per la cura e il trattamento di patologie anche complesse. Si deve proprio allo sviluppo di questa disciplina la scoperta dell’ereditarietà e l’identificazione di fattori di rischio genetico di alcune malattie diffuse.
A questo proposito, l’Istituto di genetica e biofisica ‘A. Buzzati Traverso’ (Igb) del Cnr di Napoli ha intrapreso uno studio volto all’identificazione dei fattori di rischio genetico nell’obesità, uno dei più diffusi problemi di salute, specie nei paesi più avanzati. Anche in questo caso, l’evoluzione dell’uomo potrebbe spiegare la nostra propensione all’obesità, una tendenza selezionata all’epoca in cui l’uomo aveva grandi difficoltà a procurarsi il cibo e quando ci riusciva doveva immagazzinarlo il più possibile, a fronte di un consumo energetico che presumibilmente era più elevato dell’attuale.
“Data la sua natura multifattoriale, si ritiene che l’obesità sia una malattia complessa dovuta a fattori genetici e ambientali, con conseguente alterazione del bilancio energetico e accumulo eccessivo di tessuto adiposo nell’organismo”, spiega Marina Ciullo dell’Igb-Cnr. “L’idea alla base del nostro studio è stata quella di ridurre tale complessità analizzando l’‘isolato genetico’ del Parco del Cilento, un’area di ricerca in cui la popolazione, a causa dell’isolamento geografico, della scarsa immigrazione e della crescita lenta della popolazione originatasi da pochi fondatori, ha conservato nel corso dei secoli dei caratteri genetici omogenei e chiari”.
E’ stato inizialmente definito il grado di ereditarietà dell’obesità, una misura che permette di stabilire quanto importante sia la componente genetica alla base di questa patologia. I risultati hanno dimostrato, in accordo con i dati di letteratura, che la componente genetica è elevata e il valore di ereditarietà è del 30%. “Il confronto fra dati genetici e l’indice di massa corporea (Bmi), parametro biometrico comunemente utilizzato come indicatore di obesità, ci ha successivamente consentito di individuare un nuovo locus sul cromosoma 1q24 significativamente associato all’obesità”, prosegue Ciullo. “Tale analisi ha inoltre permesso di confermare l’associazione di altre due regioni cromosomiche già identificate in precedenza in altri studi (posizione 2q14 e 6q23)”.
Il primo Comune sottoposto allo studio è stato Campora, dove sono stati analizzati 394 individui facenti parte di un’unica genealogia di 2.947 individui di 16 generazioni. I risultati ottenuti sono stati confermati dall’analisi effettuata nelle popolazioni di un altro paese del Cilento, Gioi. Anche qui è stata trovata la stessa associazione tra obesità e regione cromosomica 1q24. “Questi risultati”, conclude la ricercatrice dell’Igb-Cnr, “ci incoraggiano fortemente a continuare l’analisi della regione del cromosoma 1q24 studiandola più in dettaglio al fine di identificare il gene (o i geni) implicato nella suscettibilità all’obesità. Uno dei possibili candidati è il gene TBX19, espresso in alcuni neuroni dell’ipotalamo e coinvolto in un sistema che regola il senso di sazietà ed il bilancio energetico. A tale riguardo è noto che mutazioni in alcuni dei geni coinvolti in questo sistema sono causa di gravi forme di obesità monogenica. L’analisi dei polimorfismi presenti in questo gene e in altri potenziali candidati ci permetterà di approfondire il possibile coinvolgimento di tali geni nella patologia dell’obesità”.
(Fonte: Almanacco della scienza – CNR)
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