Un uso regolare della sauna migliora il flusso sanguigno e previene le malattie cardiache. I benefici di una terapia a base di saune ripetute sono simili a quelle derivate da un regolare esercizio fisico, ma con il vantaggio di poter essere utilizzate anche da persone con difficoltà di movimento
Queste tesi sono sostenute da un gruppo di ricercatori giapponesi, in seguito ad uno studio in cui hanno selezionato 25 uomini con almeno un fattore a rischio a livello cardiaco, come alti livelli di colesterolo alto, alta pressione sanguigna, diabete, vizio del fumo. Nello stesso studio era presente un gruppo di controllo, costituito da 10 uomini sani. Ogni individuo ha trascorso 15 minuti in una sauna a 60 °C, seguita da 30 minuti sdraiati su un lettino e avvolti sotto le coperte; il tutto una volta al giorno per due settimane. Al termine del ciclo i ricercatori hanno misurato il livello di espansione e contrazione dei vasi sanguigni, per verificare lo stato di salute cardiaco. Il gruppo con fattori a rischio ha mostrato un notevole miglioramento nelle funzioni circolatorie. In essi, il trattamento con la sauna ha anche provocato un leggero abbassamento della pressione. Lo studio ha dunque dimostrato che le arterie dei pazienti a rischio sono in condizione sempre reversibile, e che la sauna può essere un valido strumento terapeutico contro queste patologie. Allo stesso tempo però, nonostante i risultati promettenti, i medici avvisano che l’estrema esposizione al calore di una sauna non è generalmente raccomandabile per i pazienti con malattie cardiache ad un livello avanzato.
Fumo: per non ricadere nel vizio
Immagine Molti sono i rimedi, farmacologici e non, che promettono ai fumatori di debellare il loro dannoso vizio. E generalmente sono anche piuttosto efficaci, in quanto realmente si smette di fumare. Il problema è che sussiste sempre un forte rischio di ricadute, specialmente nei dodici mesi successivi al trattamento. Come fare allora per smettere definitivamente? Esiste un farmaco, il bupropione, che secondo gli ultimi studi riduce fortemente il rischio di riprendere il vizio. Alla Mayo Clinic è stato effettuato uno studio a lungo termine, della durata di un anno. La terapia con bupropione è già largamente utilizzata, ed il suo ciclo di cure dura normalmente un massimo di tre mesi; entro questi termini i pazienti che si sottopongono al trattamento smettono di fumare e sospendono l’assunzione del farmaco. Per cercare di risolvere il problema delle ricadute, però, gli scienziati hanno deciso di valutare gli effetti di un trattamento prolungato della durata di dodici mesi. La loro intuizione si è dimostrata felice, in quanto dopo un anno di cure a base di bupropione, è stata rilevata una drastica diminuzione di persone che avevano ricominciato a fumare. Non solo, ma il classico aumento di peso conseguente all’abbandono delle sigarette è risultato decisamente minore rispetto ai pazienti che effettuano il trattamento trimestrale.
I dottori non si curano
Immagine Chi ha un medico in famiglia forse se ne sarà accorto: i dottori, così solleciti nel raccomandare ai pazienti di rimanere a casa e riguardarsi quando sono malati, non sono altrettanto premurosi quando sono loro stessi ad ammalarsi. Anzi, nella grande maggioranza dei casi continuano a lavorare come se niente fosse. Ed i motivi, secondo una ricerca dell’Università di Belfast, sarebbero fondamentalmente duplici: per offrire un’immagine di sé in perfetta salute e per non creare disagi ai colleghi. Durante lo studio sono stati intervistati 27 medici. Le domande vertevano su come essi reagiscono di fronte alle loro malattie. Quello che è emerso dalle interviste è che i dottori sentono una forte pressione a non ammalarsi, o almeno a non darlo a vedere, perché i pazienti avrebbero remore a farsi curare da un dottore non in salute, mettendo in discussione la loro competenza. Oltre a ciò, essi sentono una forte pressione a non distaccarsi dal loro lavoro, neanche per brevi periodi. Parte delle ragioni per cui i medici sono riluttanti a prendersela comoda durante una malattia è infatti quella di non volere delegare i loro obblighi ai colleghi nella loro pratica medica, dimostrando un forte senso del dovere e della responsabilità. Un altro dato emerso dallo studio è che, oltre ad essere riluttanti ad ammettere le proprie malattie, i dottori generalmente si guardano bene dall’applicare per se stessi le raccomandazioni che danno ai loro pazienti. Se ad esempio sono molto solleciti a far controllare a tutti il livello di colesterolo, tale sollecitudine raramente la mettono in pratica nei loro confronti. Gli autori dello studio concludono che oltre a preoccuparsi della salute dei pazienti, tra i primi doveri di un medico dovrebbe essere sottintesa una particolare attenzione alla conoscenza e alla cura del proprio stato di salute.