La luce ideale non è uguale per tutti

Una corretta illuminazione degli ambienti, oltre a offrire vantaggi per una buona visione, può influire positivamente sulla nostra salute, sul benessere e sul livello di attenzione.

Lo dimostrano i numerosi studi a carattere biologico e lo sanno bene quanti lavorano nel settore, che puntano ora a caratterizzare l’illuminazione in base agli spazi e al tipo di compito che deve essere svolto al loro interno.
Di particolare interesse, gli ambienti di lavoro dove “una corretta progettazione della luce è in grado di migliorare la qualità delle performance lavorative: maggiore sicurezza, meno errori e dunque maggiore produttività”, spiega Alessandro Farini, dell’Istituto nazionale di ottica applicata (Inoa) del Cnr di Firenze. “La tendenza del mercato, basata su recenti ricerche legate alla produzione della melatonina, è di proporre in questo ambito un tipo di luce con una forte componente blu, proponendola come luce ideale per il miglioramento del rendimento”.
Occorre però valutare se ulteriori parametri – benessere, comfort, ‘piacevolezza’ – di tale luce, influenzino in modo opposto il soggetto, compromettendo i risultati richiesti. A questo scopo l’Inoa-Cnr ha avviato un esperimento basato su test psicofisici, coinvolgendo ragazzi tra i 18 e 25 anni.

“Il laboratorio viene illuminato alternativamente con tubi fluorescenti con temperatura di colore dai 2700 ai 6500 gradi Kelvin (che definiscono la variabilità della luce)”, spiega Elisabetta Baldanzi, dell’Inoa-Cnr. “Dopo quattro ore circa di ambientamento con il tipo di luce selezionato, si viene sottoposti a un test psicofisico appositamente programmato”. “Sullo sfondo grigio di uno schermo si muovono una decina di piccole sfere rosse assieme a tre, quattro o cinque di colore verde. Dopo alcuni secondi, anche le sfere verdi appaiono rosse”, spiega Roberto Arrighi, psicologo dell’università di Firenze. “L’obiettivo del test è continuare a seguire con lo sguardo le sfere inizialmente di colore verde e, nel momento in cui tutte si fermano, riconoscerne almeno una tra le quattro evidenziate in arancione dal computer”. Al momento ciascun soggetto ha ripetuto la prova novanta volte per ciascuna condizione (3,4 o 5 sfere verdi) e per ciascuna temperatura di colore.
“L’esperimento è attualmente in fase di studio”, conclude Baldanzi. “E i risultati finora analizzati confermano che la luce artificiale non influenza il livello di attenzione in modo univoco. Pretendere, dunque, di immettere sul mercato una luce che migliori la produttività del lavoratore risulta per ora una forzatura irreale”.
(Fonte: Almanacco della Scienza – CNR)
Per saperne di più: Consiglio Nazionale delle Ricerche