La lotta del Cnr ai tumori parte dal fondo. Anzi dai fondali

Si chiama decadienale. È la tossina con cui alcune alghe controllano la riproduzione dei loro predatori. Ma la sua azione, rivela una ricerca dell’Ieos-Cnr, della Stazione A. Dohrn e dell’università Federico II, potrebbe essere efficace anche per bloccare la proliferazione delle cellule tumorali e per contrastare le malattie neurodegenerative

Le diatomee, alghe unicellulari che popolano i mari, la usano per proteggersi dai copepodi, piccoli crostacei e loro temibili predatori. Ma potrebbe essere destinata a diventare un’arma preziosa per l’uomo per combattere e per svelare i segreti di un nemico molto più grande: il tumore. E’ il 2-trans 4-trans decadienale, un’aldeide che provoca la morte delle cellule proliferanti e non differenziate, come sono appunto quelle tumorali.

“Questa tossina, che costituisce un sistema chimico di difesa per le diatomee, ha una particolarità: è efficace solamente nei confronti dei copepodi gravidi, mentre è del tutto innocua contro i gamberetti adulti. Agisce quindi solo in presenza di embrioni, organismi che proliferano rapidamente e che non sono differenziati, proprio come i tessuti cancerosi, anch’essi caratterizzati da iperproliferazione e scarsa differenziazione”, spiega Luca Colucci D’Amato dell’Istituto di endocrinologia e oncologia Gaetano Salvatore (Ieos) del Cnr di Napoli, che ha condotto la ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, in collaborazione con Antonio Miralto e Adrianna Ianora del Laboratorio di ecofisiologia della Stazione Zoologica “A. Dohrn” di Napoli, che da anni si dedicano allo studio delle diatomee, organismi alla base della catena alimentare marina e con Giuseppe Terrazzano del dipartimento di Biologia e patologia cellulare e molecolare dell’Università Federico II.

La possibilità che il decadienale abbia sulle cellule tumorali un effetto simile a quello che ha sugli embrioni dei copepodi è supportata da osservazioni di laboratorio condotte su cellule derivate dal sistema nervoso embrionale del topo; la sperimentazione ha mostrato che l’aldeide determina apoptosi, ossia morte cellulare, fin quando le cellule sono proliferanti, mentre la sua azione cessa quando si blocca la proliferazione e si induce il differenziamento.

“A questo punto”, prosegue Colucci D’Amato, “è importante, da un lato, estendere l’analisi degli effetti di questa tossina su altre linee cellulari di mammiferi per verificarne il comportamento. Dall’altro, studiarne a fondo il meccanismo molecolare di azione; si tratta infatti di una sostanza presente anche nell’organismo umano, nel quale potrebbe essere coinvolta nel processo di degenerazione e di invecchiamento cellulare”. Riuscire a controllarne la stabilità e i livelli e a capirne i meccanismi cellulari e molecolari con cui agisce, potrebbe dunque rivelarsi uno strumento valido anche nel contrastare lo sviluppo di malattie neurodegenerative, quali il Parkinson e l’Alzheimer.