“L’Italia ‘è un luogo eccellente per portare avanti gli affari politico-militari’ degli Stati Uniti, a condizione di armarsi di pazienza per superare la sua ‘vituperata’ burocrazia e le sue procedure ‘arcane e bizantine’.”
Il giudizio americano sull’Italia di Berlusconi
Mimmo Franzinelli
Alessandro Giacone
Contributi: Giorgio Galli
Collana: Storie – Feltrinelli Editore
Pagine: 416 Prezzo: Euro 22,00
Il libro
Il trafugamento dagli archivi statunitensi di centinaia di migliaia di documenti ha rivoluzionato nel 2010 il panorama informativo mondiale, imponendo il “caso WikiLeaks” all’attenzione generale. Gli inconfessabili retroscena dell’invasione dell’Iraq e i reali motivi della presenza militare in Afghanistan costituiscono solo una parte dei dispacci diplomatici centrati sulla politica estera statunitense, ovvero sul sistema di potere che condiziona gli assetti internazionali.
La valanga di materiale desecretato in un modo così inusuale e massiccio coinvolge un decennio di vicende italiane: dai rapporti italo-statunitensi alle valutazioni sul “personaggio” Berlusconi, alla politica interna ed estera del nostro governo. Mimmo Franzinelli e Alessandro Giacone, prendendo le mosse dai precedenti di WikiLeaks (come la clamorosa pubblicazione dei Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam che nel 1971 ne svelò errori e menzogne sulla base di documenti governativi trafugati), analizzano il significato della pubblicazione di queste fonti segrete da parte di Julian Assange. L’interpretazione e la contestualizzazione dell’imponente materiale, costituito dagli articolati e rivelatori cablogrammi inviati dalle ambasciate e dai consolati americani all’amministrazione di George W. Bush prima e Barack Obama poi, consente di ripercorrere anni cruciali della storia del nostro paese, tra 2001 e 2010.
Attraverso questi documenti si delinea il punto di vista degli Stati Uniti sulla politica italiana, vengono ricostruite le strategie dei politici italiani per blandire il potente alleato e utilizzarlo nello scontro tra centrodestra e centrosinistra. Se ne ricava, tra l’altro, l’interpretazione americana del fenomeno mafioso nel Mezzogiorno, dei rapporti italo-russi, dell’amicizia tra Berlusconi e Gheddafi. La ricostruzione e rilettura dei fatti è accompagnata dai principali dispacci della diplomazia americana sull’Italia riprodotti integralmente, dai ritratti dei principali protagonisti e da un’accurata cronologia dell’ultimo decennio.
(estratto)
da 8. Africa settentrionale e Medio Oriente tra affari, rivolte ed esodi di massa
L’asse Roma-Tripoli
Da un secolo la Libia occupa per l’Italia un ruolo di grande rilievo, per ragioni geo-strategiche, militari e finanziarie. Alla conquista del 1911 – decisa dal liberale Giolitti con il sostegno di parte significativa dei cattolici – sono seguite l’annessione al Regno, la colonizzazione e i crimini sui civili (sono circa centomila i libici uccisi dal 1911 al 1932), deportazioni nelle isole Tremiti, la disfatta bellica del gennaio 1943 e la perdita della colonia, la confisca dei beni degli oltre ventimila italo-libici espulsi nell’ottobre 1970, aperture al dialogo presto contraddette da polemiche, la ripresa delle relazioni diplomatiche con i governi di centrosinistra e la netta svolta impressa da Berlusconi con la stipulazione dell’alleanza con Gheddafi, sino al controverso rovesciamento di fronte della primavera 2011, suggellato dalla partecipazione italiana ai bombardamenti su Tripoli. Il petrolio rappresenta la principale fonte di ricchezza su cui si regge per oltre un quarantennio il potere di Mu’ammar Gheddafi; a partire dal 1972 disinvolti uomini d’affari italiani vorrebbero mettere le mani sull’oro nero, mescolando ruoli pubblici a interessi privati (sotto forma di tangenti).
Il punto di partenza consiste nell’accordo tra Eni e Lnoc (Libya National Oil Corporation), sul quale si innesta nel 1975 la cordata massonico-affaristica Mi.Fo.Biali, l’acronimo che indica il capo dei servizi segreti Vito Miceli, il faccendiere Mario Foligni e l’eldorado della Libia (Biali). Verso la metà degli anni ottanta l’Unione europea impone l’embargo nei confronti della Libia, il cui governo è implicato in attività terroristiche internazionali, in sinergia con il gruppo palestinese di Abu Nidal. Soltanto nel settembre 2004 il boicottaggio – peraltro estesamente aggirato – verrà abrogato, consentendo finalmente all’Italia di avviare significative attività imprenditoriali alla luce del sole. Nel 1998, il primo governo Prodi, con Lamberto Dini al ministero degli Esteri, aveva posto le premesse per un accordo di amicizia italo-libico. Negli anni seguenti, con governi di centrodestra e di centrosinistra, i negoziati registrano frequenti battute d’arresto e “lenti progressi”, come segnala un cablogramma Usa del 2007.
Il primo documento WikiLeaks in cui compare un riferimento alla Libia è centrato sulla visita romana di Hosni Mubarak del 4-5 marzo 2004. Il presidente egiziano illustra le difficoltà dei governi arabi in due distinti colloqui con Ciampi e con Berlusconi. A quest’ultimo confida “che l’Egitto, come tutti gli altri paesi arabi, si trova a fronteggiare un momento difficile verso la propria opinione pubblica. Per l’Egitto, l’Iraq o altri paesi il passaggio immediato a elezioni libere significherebbe la vittoria di un governo estremista”. La democrazia rappresentativa sarebbe dunque inadatta ai paesi africani e mediorientali in genere. Non risultano, da parte dell’interlocutore italiano, obiezioni a una posizione così discutibile. Al contrario, quando Mubarak ripete al presidente della Repubblica le sue valutazioni sull’impossibilità di una politica riformista senza previa risoluzione dei nodi del fondamentalismo e della questione palestinese, Ciampi – secondo il resoconto americano – “gli ha risposto sottolineando che in tutte le visite di Stato da lui tenute l’anno precedente in paesi arabi (Tunisia, Marocco, Algeria) ha parlato della necessità di riforme democratiche ed economiche”. Due differenti atteggiamenti, quelli del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio, rivelatori dei rispettivi approcci al modello democratico.
Il cablogramma contiene un curioso dettaglio su Berlusconi e Mubarak: “Entrambi i leader hanno concordato sulla positività dei recenti passi in avanti della Libia, e che all’Egitto e all’Italia vada tutto il merito di aver spinto Gheddafi ad ammorbidire le proprie posizioni. I due leader hanno riso scambiando aneddoti sui loro incontri con l’eccentrico Gheddafi” Risate non malevole, verrebbe da dire, considerato che di lì a poco il presidente del Consiglio italiano riderà di gusto insieme al colonnello…
Sulla falsariga dei rapporti con la Russia, anche le relazioni italo-libiche vengono impostate dal Cavaliere essenzialmente attraverso contatti interpersonali e con un occhio di riguardo agli affari. Anche in questo caso il ministro degli Esteri si adatta a mansioni di facciata, legittimando decisioni assunte altrove. Ulteriore esempio dell’irrilevanza di Frattini si ha a fine agosto 2009 con la visita personale di Berlusconi al presidente tunisino Zine El-Abidine Ben Ali, dalla cui preparazione sono esclusi i rispettivi ministeri degli Esteri. Secondo gli analisti statunitensi, il Cavaliere aveva un solo accompagnatore: il socio d’affari Tarak Ben Ammar, suo partner dal 1989 nella società di produzione e distribuzione parigina “Quinta Communications”, nonché socio al 50 per cento nella rete televisiva Nessma. Inoltre, sottolineano gli americani, Ben Ammar ha ricevuto nel 2001 l’investitura a consigliere del presidente del Consiglio italiano per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Un bell’intreccio di ruoli, senza che alcuno (se non, riservatamente, i diplomatici di Washington) rilevi il conflitto d’interessi tra il Berlusconi statista e il Berlusconi magnate. Nel maggio 2007 l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, ufficializza l’interesse del sodalizio energetico allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi libici. Il disgelo politico, con la disponibilità italiana a chiudere il contenzioso sulla dominazione coloniale attraverso pubbliche scuse e cospicui risarcimenti, si accompagna all’intensificazione dei rapporti finanziari e alla stipulazione di vantaggiosi contratti.
Agli aspetti economici si sommano i problemi militari, che destano serie inquietudini tra i paesi occidentali. I cablogrammi americani riecheggiano la preoccupazione per la produzione e lo stoccaggio di armi tossiche, in particolare nella base militare di Rabta, dove – a una cinquantina di chilometri dalla capitale – nel 1988 è stata allestita in gran segreto una fabbrica chimica, mascherata da innocua impresa farmaceutica. 8 Nell’estate 2007, una missione di esperti internazionali giunge in Libia per accertare il rispetto della Convenzione sulle armi chimiche.
Secondo gli impegni sottoscritti dal governo di Tripoli, la distruzione degli arsenali e la riconversione degli impianti bellici in industrie farmaceutiche dovrebbero effettuarsi con l’assistenza delle ditte italiane Sipsa Engineering e PharmaChem, ma i piani procedono con non casuale lentezza e senza la necessaria trasparenza, anche per la riluttanza della Sipsa a riferirne al suo governo. Grazie alla Chemical Weapons Convention i libici ottengono dall’Italia cospicui finanziamenti per la riconversione industriale degli impianti “fuori legge” e contemporaneamente intascano sovvenzioni statunitensi. In sostanza gli astuti interlocutori si fanno pagare due volte il programma di smantellamento della fabbrica chimica.
Il 30 agosto 2008 viene firmato a Bengasi – nell’ex residenza del governatorato militare italiano, dinanzi a centinaia di discendenti di patrioti deportati dal generale Graziani – il trattato italo-libico di amicizia, partenariato e cooperazione. Berlusconi esprime a Gheddafi, a nome del popolo e del governo da lui rappresentati, il rammarico per le ferite inferte nella trentennale oppressione politico-militare. Conseguentemente, alla celebrazione nazionale del 7 ottobre (“Giorno della cacciata degli italiani”, in memoria dell’espulsione del 1970) si sostituisce la festa del 30 agosto, anniversario dello storico accordo Gheddafi-Berlusconi. L’intesa di Bengasi impegna l’Italia al pagamento di una riparazione pari a 5 miliardi di dollari (in venticinque rate annuali di 200 milioni di dollari), con la costruzione dell’autostrada litoranea lunga duemila chilometri e di varie altre infrastrutture (tra cui duecento case per discendenti di libici deportati in Italia o feriti da mine antiuomo).
In cambio, gli italiani espulsi dalla Libia nel 1970 potranno visitare l’ex paese di residenza. Secondo il quotidiano della Confindustria, “per la prima volta, anche rispetto ai politici della prima Repubblica, Berlusconi ha saputo intercettare l’anima profonda del Colonnello e ha saputo creare una corrente di simpatia che ha favorito il clima necessario per l’intesa”. Gli statunitensi commentano che “il governo libico era ansioso di concludere quest’anno lo storico trattato con l’Italia, nel contesto della recente e accelerata apertura all’Europa, iniziata nel 2007 con la risoluzione della disputa con la Ue in merito alle detenzione delle infermiere bulgare”. Il governo libico considera la firma del patto di intesa con gli Stati Uniti (prevista per il 14 agosto) e la successiva visita del segretario di Stato come pietre. […]