Inversione dei poli magnetici, già successo?

Sappiamo tutti che l’ago indica il Nord. Questo è dovuto all’allineamento con il campo magnetico terrestre. E se a un tratto indicasse il Sud? La geologia dimostra che in passato questo è già successo, a causa di un’inversione di polarità del campo magnetico. Sandro Conticelli, direttore dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria del Cnr e presidente della Società geologica italiana, spiega come sia stato possibile stabilire questo fenomeno e in che modo abbia consolidato la teoria della “deriva dei continenti”

Alfred Wegener nel 1915, col libro “La formazione dei continenti e degli oceani”, tracciò la sua teoria sulla “deriva dei continenti”, sulla quale si basa il modello della tettonica delle placche. Wegener suggeriva che in origine esistesse un unico super continente, la Pangea: quest’ultima, frammentandosi, diede forma agli attuali continenti, che si sarebbero allontanati tra loro come dei grandi iceberg di crosta a bassa densità, galleggiando su un mare di crosta a densità maggiore. Questa teoria fu avversata dai maggiori scienziati dell’epoca, ma negli anni Sessanta del secolo scorso, esattamente a cinquant’anni dalla prima uscita del libro di Wegener, la scoperta che i fondali oceanici registravano la polarità del campo magnetico e quella, ancor più stupefacente, che la polarità si era invertita ripetutamente nel passato, consacrarono la tettonica delle placche a teoria scientifica convalidata.

 “La tettonica delle placche è il principale effetto superficiale della dinamica interna della Terra, per la quale il guscio rigido più esterno della porzione solida del Pianeta, la litosfera è formata da un numero di otto grandi placche tettoniche e da una serie di micro-placche in lento movimento da circa tre miliardi e mezzo di anni. Il movimento roccioso superficiale è innescato da forze di natura termodinamica, meccanica e gravitativa che rendono l’interno del Pianeta dinamicamente attivo”, spiega Sandro Conticelli, direttore dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag) del Cnr e presidente della Società geologica italiana.

La scoperta della capacità del campo magnetico terrestre di invertire la propria polarità fu la vera “pistola fumante” ritrovata dai geologi a conferma della teoria di Wegener. “Si tratta di una tra le caratteristiche più affascinanti e complesse connesse con la dinamica interna della Terra, da cui consegue che le linee di forza del campo, attualmente uscenti dal Polo Sud ed entranti al Polo Nord, si invertono”, continua il direttore del Cnr-Igag. “Seppur ipotizzata fin dai primi anni del Novecento, la conferma definitiva di tale fasi fu ottenuta quando lo sviluppo della radio-cronologia isotopica permise di ottenere datazioni assolute sulle stesse rocce in cui si era determinata la magnetizzazione diretta o inversa”. Sulla base delle inversioni del campo magnetico terrestre, correlate con precise determinazioni delle età di formazione delle rocce che costituiscono i fondali oceanici, la geologia marina e la geofisica hanno mostrato come questi fossero in espansione continua, a partire dalle dorsali medio-oceaniche, individuando in questo la causa del movimento della litosfera continentale e, quindi, della “deriva dei continenti”.

Il meccanismo con cui il campo magnetico si inverte è ancora oggetto di studio, ma sembra appurato che le inversioni siano eventi rapidi dal punto di vista geologico, con una durata tipica minore dei 5.000 anni. “Conoscere come e in quanto tempo si realizzino ha un’importanza fondamentale anche per la vita sulla Terra. Durante l’inversione, infatti si assiste a una progressiva diminuzione dell’intensità del campo magnetico, che si azzera durante l’inversione stessa, per poi tornare a crescere lentamente ma con polarità opposta alla precedente. La diminuzione dell’intensità ha conseguenze significative, che includono tra l’altro l’aumento delle radiazioni cosmiche sulla superficie terrestre, con effetti di tipo epidemiologico, aumento dei tumori della pelle, scarsa definizione o assenza totale del nord magnetico e conseguente disorientamento in diverse specie animali” conclude Conticelli. “Tuttavia, l’analisi delle passate inversioni magnetiche non sembra evidenziare alcun loro effetto significativo sul mondo biologico e, per quanto riguarda le più recenti, sull’evoluzione del genere Homo”.

Fonte: Almanacco Della Scienza – Cnr