Individuato nei tibetani l’“enzima di lunga vita”

Agisce neutralizzando i radicali liberi prima che danneggino le cellule. E’ stato scoperto dai fisiologi del Cnr e dell’Università di Milano sostenuti dal Comitato Everest-K2-Cnr. Se ne è parlato nel convegno “Il K2 cinquant’anni dopo. La ricerca scientifica negli ambienti estremi”, a Roma, presso la sede del Cnr.

Un meccanismo capace di neutralizzare i radicali liberi prima che danneggino le cellule. E’ questo il segreto della longevità e della sorprendente forma fisica dei tibetani. “In collaborazione con studiosi inglesi, svizzeri e nepalesi è stata effettuata un’indagine sul proteoma del muscolo di tibetani di alta quota e su tibetani e altri individui asiatici di controllo, tutti nati a bassa quota” spiega Paolo Cerretelli, dell’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del Cnr di Milano e presidente onorario del Comitato Everest-K2-Cnr, nel corso del convegno “Il K2 cinquant’anni dopo. La ricerca scientifica negli ambienti estremi”, che svoltasi a Roma presso la sede del Cnr.

“I risultati ottenuti”, prosegue Cerretelli, “sono stati sorprendenti: nei muscoli dei tibetani di alta quota sono stati rilevati uno scarso accumulo di lipofuscina, una sostanza che è espressione del danno arrecato dai radicali liberi alle strutture cellulari dell’organismo, e un significativo aumento di proteine a elevata azione antiossidante”. Una scoperta che conferma le particolari caratteristiche fisiche dei tibetani che vivono e lavorano ad altitudini che arrivano fino a 4.800 m, senza andare incontro a nessuna delle patologie da alta quota che colpiscono le altre popolazioni andine e i nativi a livello del mare anche se residenti in alta montagna da tempo.

Gli esperimenti condotti negli anni nel laboratorio Piramide del Cnr in Nepal hanno infatti portato ad altre importanti osservazioni su questo popolo. “I nostri studi”, aggiunge Claudio Marconi dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Cnr di Milano e collaboratore del professor Cerretelli, “hanno evidenziato che l’elevata tolleranza dei tibetani all’esercizio in alta quota è multifattoriale poiché coinvolge una migliore funzionalità cardiaca, una minor viscosità del sangue e migliori scambi respiratori a livello polmonare e, probabilmente, anche una migliore utilizzazione di ossigeno a livello muscolare. Questo popolo, dunque, va incontro a modificazioni dell’organismo in grado di proteggerlo dalle conseguenze della ridotta pressione dell’ossigeno nell’aria (ipossia)”.

La scoperta dello sviluppo nei tibetani di un meccanismo capace di contrastare l’invecchiamento cellulare costituisce un nuovo stimolo alle ricerche, poiché fornisce un modello di studio in grado di chiarire, ad esempio, le cause del malfunzionamento muscolare nell’invecchiamento e nelle patologie (cardiopatie, insufficienza respiratoria) in cui questa anomalia limita la prestazione fisica. Si tratta, insomma, di un primo passo per possibili interventi farmacologici e di ingegneria molecolare finalizzati a migliorare la funzione muscolare.