Un gruppo di ricercatori statunitensi guidati da Adam Heller dell’Università del Texas ha messo a punto una batteria in miniatura alimentata da liquidi corporei, in grado di azionare un apparecchio elettronico impiantato nel corpo di un paziente.
Il dispositivo opera convertendo direttamente in elettricità l’energia prodotta quando il glucosio reagisce con l’ossigeno durante il normale metabolismo Il rivoluzionario congegno potrebbe essere inserito a contatto con i fluidi fisiologici contenenti glucosio, sotto la pelle o nel midollo spinale. Le pile ad alimentazione biologica, in verità, non sono una novità assoluta: i primi apparecchi capaci di generare potenza dalla reazione chimica tra glucosio e ossigeno furono infatti costruiti negli anni 60.
Ma, per essere utili in ambito terapeutico, queste batterie devono rispondere a particolari requisiti che il progresso tecnologico ha reso possibili soltanto adesso: le pile devono avere dimensioni ridottissime, lavorare alla temperatura, acidità e concentrazione salina del sangue e produrre una potenza e un voltaggio adeguatamente alti. Tutti requisiti che saranno ampiamente soddisfatti dal nuovo dispositivo, garantiscono i ricercatori. Esso consiste di due fibre di carbonio, lunghe due centimetri e larghe sette millimetri, entrambe ricoperte da un catalizzatore che ha il compito di facilitare le reazioni chimiche del glucosio.
La batteria funziona ad una temperatura di 37° C e a pH 7,2, valori molto vicini a quelli del sangue normale, producendo una potenza di circa 1,9 microwatt. L’applicazione più naturale della pila biologica sarebbe quella di guidare un sensore del glucosio per il controllo dei diabetici. La potenza non è ancora tale da poter alimentare un cuore artificiale: per un tale compito il dispositivo è ancora troppo debole e non ha una durata sufficiente. Ma le prossime ricerche dovrebbero volgere in quella direzione.