Il futuro in un sogno

“Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei propri sogni”. La celebre frase di Eleanor Roosevelt fa da motto per la VII edizione del Festival della Scienza, dedicata al ‘Futuro’. Ma perché sogniamo il futuro? Forse perché usiamo la mente.

“La biologia del sogno, inaugurata negli anni ’50 dagli americani Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman”, spiega Maria Paola Graziani, psicologa dell’Istituto di scienze dell’alimentazione (Isa) del Cnr di Avellino, “ha dimostrato l’esistenza di due stati del sonno: quello ‘sincronizzato’ o ‘sonno non-Rem’ (dall’inglese Rapid eye movement) e quello ‘desincronizzato’ o ‘sonno Rem’ con presenza di sogni, di cui si conserva spesso il ricordo”.
I sogni associati alla premonizione hanno affascinato l’uomo fin dall’antichità e hanno nutrito leggende e miti con interpretazioni di tipo divinatorio e narrazioni suggestive. “Tra le più conosciute”, continua Graziani, “i presagi onirici di Costantino, che attraverso il sogno riceve un’indicazione memorabile; il sogno premonitore di Giuseppe, che salva Gesù dalla repressione di Erode; il racconto biblico della Genesi, in cui il faraone sogna sette vacche magre che divorano sette vacche grasse venute dal Nilo e sette spighe vuote, che ingoiano sette spighe di grano mature”.

Nell’antica Grecia il sogno (in greco ‘onar’), era socialmente rilevante, perché contribuiva a determinare o a inibire comportamenti nella vita di relazione e, in alcuni casi, a innescare fenomeni di emotività collettiva, come nella simbolica attesa degli ammalati nel tempio di Asclepio, dove il dio indicava nel sogno la cura da seguire per tornare in salute, attraverso la mediazione dei sogni e della loro interpretazione.
L’importanza profetica che le culture egiziana, assirobabilonese ed ellenica attribuivano ai sogni, tende a diminuire a Roma, anche se in modo discordante, con imperatori come Marco Aurelio che non disdegnarono l’uso dei sogni per predire il futuro, e altri come Tiberio che ne proibirono la consultazione ‘libera’ vincolandola a regole restrittive. “In fondo”, prosegue la ricercatrice, “l’uomo in antichità temeva l’incontrollabilità delle suggestioni oniriche che associava al potere degli dei, come ad esempio i sogni premonitori di Calpurnia alla vigilia delle Idi di Marzo, che non ascoltati da Cesare, ne decretarono la sua condanna a morte”.

Scorrendo mitologia e leggenda, il sogno ha a lungo rappresentato un fenomeno innaturale ai limiti della magia e forse sarebbe rimasto tale se, in epoca moderna, Sigmund Freud, nel 1899, col suo ‘Libro sui sogni’, non lo avesse indagato con metodo scientifico, applicando regole precise e ratificando la nascita della psicologia clinica. “L’interpretazione freudiana del sogno”, prosegue la ricercatrice del Cnr, “si basa sul metodo delle libere associazioni e poggia sulla concezione del sogno come manifestazione del desiderio, la cui espressione viene mascherata dall’azione della censura onirica: il sogno esprime sempre un desiderio sessuale, attuale o pregresso”. Dopo Freud, il suo ‘allievo’, Carl Gustav Jung, con la psicologia del profondo, ha elevato il sogno a espressione simbolica, traducendo le sue immagini in valenze complesse, spesso non riducibili a una sola spiegazione, ricercando e individuando similitudini e analogie tratte dalla vita spirituale dell’umanità intera, ossia dai miti, dalle leggende, dalle fiabe. “Una dimensione sovra personale dell’inconscio collettivo”, conclude Graziani, “che allarga lo spazio individuale al ‘mondo’ e che nel sogno dà voce a quella mente inconscia di cui parla Oliver Sacks, neurologo e saggista, che sostiene che i disturbi neurologici sono sempre accompagnati, oltre che da alterazioni quantitative o qualitative del sonno, anche da sogni particolari a volte precursori delle stesse patologie”.
(Fonte: Almanacco della Scienza – CNR)

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