Ombre e luci dall’Indagine Istat. Le donne sono informate, ma il divario tra Nord e Sud rimane. Oltre il 13 per cento delle donne non ha informazioni sulla possibilità di eseguire test prenatali. Aumenta il numero di parti cesari. A fronte di un complessivo miglioramento del livello di assistenza, permane uno svantaggio per le donne giovani, per quelle con un basso livello di istruzione e per quelle che vivono nel Sud e nelle Isole tra le quali si osservano le quote più basse per i principali indicatori di assistenza in gravidanza.
L’indagine multiscopo dell’Istat, “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” viene ripetuta con cadenza quinquennale su un campione complessivo dell’indagine che comprende circa 60 mila famiglie. Le informazioni raccolte sui temi della gravidanza, del parto e dell’allattamento al seno si riferiscono all’ultimo figlio che le donne hanno avuto nei cinque anni precedenti la rilevazione e riguardano 2 milioni e 736mila donne. I risultati dell’indagine mostrano che le donne in Italia godono di un buon livello di assistenza in gravidanza; la maggior parte di esse si sottopone, infatti, a visite ed accertamenti nei primi mesi di gestazione ed è stata informata sulle tecniche di diagnosi prenatale. Rispetto al 1999-2000, aumenta tuttavia la medicalizzazione della gravidanza: la percentuale di donne che ha fatto 7 o più ecografie durante la gestazione passa dal 23,8% al 29,0% e quella che ha effettuato 7 o più visite passa dal 52,7% al 56,4%. Continua ad aumentare il ricorso al taglio cesareo: la media nazionale stimata per i cinque anni precedenti la rilevazione passa dal 29,9% nel 1999-2000 al 35,2% nel 2004-2005 raggiungendo livelli particolarmente elevati nel Sud (45,4%).
Tra le donne che hanno avuto un parto naturale è molto alta la presenza dei padri al momento del parto nel Nord-Ovest (87,8%) e nel Nord-Est (83,9%).
Permane lo svantaggio nel Sud e nelle Isole, dove solo il 31,1% ed il 47,1% delle donne ha avuto vicino il proprio partner al momento del parto.
Si mantiene stabile, rispetto al 1999-2000, la quota di donne che ha allattato al seno il proprio bambino (81,1%). Cresce invece la durata media dell’allattamento al seno che passa da 6,2 a 7,3 mesi.
Migliora l’assistenza in gravidanza
Le donne in Italia godono di un buon livello di assistenza in gravidanza. Infatti, come raccomandato dai protocolli, la maggior parte delle donne si sottopone a visite ed accertamenti nei primi mesi di gestazione ed è stata informata sulle tecniche di diagnosi prenatale.
Rispetto al 1999-2000 le donne che hanno effettuato la prima ecografia entro il terzo mese di gestazione aumentano dall’84,5% all’87,0% e si mantiene elevata la quota di donne che ha effettuato la prima visita entro il terzo mese di gravidanza (94,3%).
Cresce la percentuale di donne che sono state informate circa la possibilità della diagnosi prenatale (dall’83,3% nel 1999-2000 all’attuale 86,8%) e la quota di quante vi fanno ricorso (88,0% rispetto all’84,9% del 1999-2000). Tuttavia sono ancora molte le donne che non sono state informate sulla possibilità di sapere di eventuali malattie del feto mediante la diagnosi prenatale (13,2%).
Le tecniche di diagnosi prenatale rilevate sono dosaggio alfa feto proteina, prelievo villi coriali, amniocentesi, ecografia morfologico fetale, tri-test.
A fronte di un complessivo miglioramento del livello di assistenza, permane uno svantaggio per le donne giovani, per quelle con un basso livello di istruzione e per quelle che vivono nel Sud e nelle Isole tra le quali si osservano le quote più basse per i principali indicatori di assistenza in gravidanza.
Si sottopongono alla prima ecografia entro il terzo mese di gestazione il 75,6% delle donne che non hanno alcun titolo di studio o hanno conseguito al massimo la licenza elementare (contro il 90,7% delle laureate), l’80,7% delle donne che hanno avuto figli a meno di 25 anni a fronte dell’89,6% delle donne che hanno figli tra i 35 e i 39 anni e rispettivamente l’83,6% e l’84,9% di quelle residenti nell’Italia meridionale e insulare contro circa il 90% del Nord.
Sono questi stessi segmenti di donne ad effettuare le visite mediche più tardivamente. Si sono sottoposte a visita medica entro il terzo mese solo l’87,3% delle donne più giovani, l’88% di quelle con titolo di studio più basso e circa il 90,3% delle donne residenti nel Sud e nelle isole. Al contrario, tra le donne con titolo di studio alto (diploma-laurea), tra quelle di 35 anni e più al momento del parto e tra le donne residenti nel Nord la percentuale di quante hanno fatto la prima visita medica entro il terzo mese di gestazione supera il 95%. Anche l’informazione sulla diagnosi prenatale è strettamente associata a età, livello di istruzione e zona di residenza: è infatti nettamente più alta tra le donne laureate (96,2%) di quanto non sia tra le madri con la licenza elementare (65,9%) e aumenta al crescere dell’età al parto passando dal 74,0% fra le donne che hanno avuto figli prima dei 25 anni a oltre il 90% fra quante hanno partorito a 35 anni e più. Il numero delle donne informate è più basso nel Sud (80,0%) e nelle Isole (82,7%).
Ricorre a tecniche di diagnosi prenatale il 93,4% delle laureate contro il 79,7% delle donne che non hanno alcun titolo di studio o al massimo hanno conseguito la licenza elementare. Si deve tuttavia tenere conto del fatto che le donne con un basso livello di istruzione potrebbero non avere riferito il ricorso a questo tipo di accertamenti perché non conoscono l’esatta denominazione di esami comunque effettuati, escludendo naturalmente il caso di esami invasivi quali la villocentesi e l’amniocentesi.
Aumenta la medicalizzazione della gravidanza
Dai dati relativi al numero dei controlli eseguiti sembra emergere un ulteriore incremento del fenomeno di medicalizzazione della gravidanza e di sovrautilizzazione delle prestazioni diagnostiche già osservato nel 1999-2000.
Mentre il protocollo nazionale raccomanda al massimo tre ecografie in caso di gravidanze fisiologiche, ben il 78,8% delle donne ha fatto oltre 3 ecografie con un ulteriore incremento rispetto al dato già elevato del 1999-2000 (75,3%). Aumenta anche la percentuale di donne che ha fatto 7 o più ecografie (dal 23,8% nel 1999-2000 al 29,0% nel 2004-2005). Sono soprattutto le donne seguite da ginecologi privati inclusi quelli che lavorano anche in ospedale a fare più di 3 ecografie nel corso della gravidanza (rispettivamente 81,7% e 81,0%).
La distanza tra quanto raccomandato dai protocolli nazionali e la media osservata non é certamente spiegata dalla piccola quota di gravidanze con disturbi gravi (22,7%). Il dato infatti è elevato non solo per le donne che hanno avuto gravidanze difficili, ma anche per quante hanno vissuto una gravidanza fisiologica. Infatti chi ha avuto disturbi gravi durante la gestazione ha un numero medio di ecografie effettuate (6,2) non molto diverso da quello medio complessivo (5,5) ed analogamente un numero medio di visite di poco superiore alla media (8 contro 7).
Aumenta il ricorso al parto cesareo ma le donne preferirebbero il parto naturale
L’Italia è il paese con il più alto numero di parti con taglio cesareo dell’Unione Europea: la percentuale è pari al 36,9% nel 2003 , oltre il doppio della quota massima del 15% raccomandata nel 1985 dall’OMS. E’ evidente lo stacco rispetto ai paesi dell’Unione Europea il cui tasso medio di cesarei è pari al 23,7%. Anche Stati Uniti e Canada hanno percentuali di parti cesarei nettamente più basse dell’Italia (rispettivamente 27,5% e 21,2%).Si osserva, come prevedibile, una forte associazione tra i disturbi più gravi che si possono verificare in gravidanza ed il ricorso al taglio cesareo (43,3%), in particolare per le donne con gestosi (59,1%) o che hanno sofferto di ipertensione in gravidanza (56,8%). Tenendo conto della bassa diffusione di queste patologie, l’alto livello di parti cesarei rimane comunque un segnale di eccessiva medicalizzazione.
I corsi di preparazione al parto rappresentano uno dei fattori di protezione rispetto alla possibilità di avere un taglio cesareo, in parte perché le donne che li seguono sono già un gruppo selezionato caratterizzato da un maggiore orientamento alla demedicalizzazione, ma anche perché accrescono la capacità delle donne di partecipare alle decisioni da prendere al momento del parto. Infatti, ha avuto un parto cesareo solo il 27,6% delle donne che hanno frequentato un corso di preparazione al parto per l’ultima o per una precedente gravidanza, contro il 41,5% di quante non hanno partecipato ad alcun corso di preparazione.
Allattamento al seno: cresce la durata
L’importanza dell’allattamento al seno per la salute del bambino e della mamma è ampiamente evidenziata in numerose ricerche epidemiologiche. Si mantiene stabile, rispetto al 1999-2000, la quota di donne che ha allattato al seno il proprio bambino, che è pari all’81,1% delle donne che hanno avuto figli nei cinque anni precedenti la rilevazione. Cresce invece la durata media del periodo di allattamento da 6,2 mesi nel 1999-2000 a 7,3 mesi. Il 65,4% delle donne ha avuto almeno un periodo nel quale ha allattato il figlio in modo esclusivo o predominante, vale a dire solo con latte materno senza aggiungere latte artificiale o di origine animale o cibi solidi o semisolidi.
L’Italia insulare, soprattutto per effetto della Sicilia (come risultava in modo evidente nell’indagine condotta nel 1999-2000), si distingue per la più bassa percentuale di donne che allatta (74,2%). Anche la durata dell’allattamento è minore: solo il 26,6% delle donne di questa area territoriale allatta per più di sei mesi. Nel Nord-est, al contrario, si riscontrano le quote più elevate di donne che allattano al seno i loro bambini (86,1%) e che lo fanno per sette mesi o più (36,8%). La stessa distribuzione territoriale si osserva per l’allattamento esclusivo o predominante: solo poco più della metà delle donne dell’Italia insulare ha un periodo in cui allatta solo con latte materno (53,5%) contro il 73,8% delle donne nel Nord-est.