C’era un tempo in cui registrare una compilation su musicassetta era un modo per farsi nuovi amici – veri, non virtuali – e per scoprire nuovi artisti. Poi venne il compact disc a inizio anni ’80, la nuova tecnologia che fece entrare la musica nell’era del digitale. Ma tra la fine anni ’80 e l’inizio dei ’90, prima con l’Mp3, un algoritmo di compressione dei file audio, e poi con l’esplosione delle connessioni private a Internet, la Rete si è trasformata in una sorta di mega compilation online: si condivideva musica come ai tempi delle musicassette, ma su scala globale. In questo caso, però, musicisti e case discografiche, presi alla sprovvista, hanno cercato di arginare il file-sharing nelle aule giudiziarie, per fronteggiare la peggior crisi di vendite mai vissuta dal settore.
Oggi che anche il downloadingMp3 è pressoché sparito, la musica si ascolta principalmente in streaming online, più o meno a pagamento, più o meno legalmente, sotto il controllo delle poche case discografiche rimaste. Negli ultimi anni qualcosa di nuovo però sta accadendo: i mercati hanno registrato una sorprendente crescita delle vendite prima del vinile, poi delle musicassette e adesso addirittura delle registrazioni in monofonia, modalità di ascolto che sembravano ormai estinte. Probabilmente la (ri)scoperta – curiosità o nostalgia – della fruizione musicale tramite un supporto fisico o nella versione originale ante-digitalizzazione ha un ruolo non indifferente in questo fenomeno di ritorno. Di certo oggi è possibile trovare, ascoltare e condividere musica con un ventaglio di possibilità una volta impensabile.
Ma a questa grande possibilità di ascolto corrisponde anche un miglioramento della qualità sonora della musica, anche rispetto all’era pre-digitale? Lo abbiamo chiesto a Domenico Stanzial e Diego Gonzalez dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi (Imm) del Cnr di Bologna. “Indubbiamente il grande vantaggio portato dalla digitalizzazione dei documenti audio in genere (parola, musica, suoni e rumori naturali o antropici) è quello di averne resa immediata la fruizione, svincolando così l’audio dal suo supporto fisico”, spiega Stanzial. “Tale codifica ha poi facilitato di fatto la trasmissione a distanza del documento, permettendone la clonazione nei diversi formati. Il miglioramento del suono del pre-digitale non è dunque da intendersi in termini di sviluppo tecnologico dei vecchi formati/supporti analogici, ma nell’implementazione di tecniche avanzate di restauro e di protezione digitale del documento audio. Attualmente, infatti, l’abbattimento del costo di memorie digitali a stato solido (Ssd), insieme con lo sviluppo sempre crescente della capacità di calcolo dei processori e delle comunicazioni digitali, consente di migliorare la qualità dei vecchi brani riportandoli, con adeguati algoritmi di elaborazione numerica del segnale audio, anche al suono originale. Si potrebbe così riascoltare lo stesso documento audio nei diversi formati”.
La consistente domanda di supporti come vinile, musicassette, cd-album classici ristampati in monofonia degli ultimi anni è forse solo una tendenza passeggera? “Sia per i suoni che per le immagini non è prevedibile uno sviluppo diverso dal digitale”, prosegue Stanzial. “L’attuale ritorno al mercato dei vecchi supporti trova quindi giustificazione più in aspetti legati alla moda, magari anche duratura per i collezionisti, che su più solide basi scientifico-tecnologiche. Certo è che l’interesse per i vecchi formati, come tutto quello che diventa memoria storica, rimane sempre oggetto di studio per il perfezionamento delle nuove tecnologie audio digitali. Può essere utile il paragone con l’evoluzione del libro dal formato cartaceo a quello elettronico: la fruizione è agevolata dall’e-book, ma la materialità cartacea rimane importante anche dal punto di vista economico. Allo stesso modo, un disco di vinile permette l’ascolto tramite un apparato più o meno sofisticato ma è possibile anche toccarlo e custodirlo con cura nella sua copertina, operazione e sensazione che un file elettronico ancora non permette”.
Non sono soltanto gli strumenti di registrazione e le modalità di ascolto ad essere sul punto di estinguersi, ma anche gli stessi suoni, ad esempio quelli ambientali e delle comunità antecedenti all’urbanizzazione e allo sviluppo dei trasporti. Alcuni li conosciamo solo dal vocabolo che li identificava, ad esempio le onomatopee che indicano i versi di animali molto presenti nella vita quotidiana fino a inizio ‘900. “Nella misura in cui cambia l’ecosistema, cambia il paesaggio sonoro”, conferma Gonzalez. “Ma questo non significa che i suoni siano necessariamente condannati a scomparire, tenendo conto della sempre maggiore attenzione per la preservazione dei beni naturali e culturali anche immateriali. Per il recupero dei suoni che possiamo considerare patrimonio le nuove tecnologie possono dare un contributo importante, si pensi alle tecnologie audio di realtà virtuale acustica in forte sviluppo nel settore dell’industria cinematografica. Si potrebbe pensare all’istituzione di musei sensoriali che includano il suono come elemento essenziale per l’immersione ambientale”.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza