Ivana Castoldi
Collana: Super Universale Economica – Feltrinelli
Pagine: 168 Prezzo: Euro 10
“I figli cominciano con l’amare i genitori; crescendo li giudicano e qualche volta li perdonano”.
Oscar Wilde
Il libro
Ormai varcata la soglia dell’età adulta, i figli cresciuti si raccontano ai genitori, per dare voce al travaglio emotivo che ha accompagnato il processo della loro emancipazione. I guasti prodotti dall’incomprensione e dalla latitanza degli adulti, così come gli effetti positivi della loro adeguatezza di educatori, vengono analizzati e descritti attraverso il filtro delle parole di quei figli, ormai cresciuti, che hanno sviluppato un’autonomia di giudizio e, talvolta, sono giunti a formulare un’impietosa condanna.
Il bisogno di credere alla “bontà” dei genitori e di affidarsi alla loro “lealtà” è un’aspettativa irrinunciabile. I minori sono portatori di un fondamentale bisogno di giustizia e di un senso etico molto sviluppato, che può rispondere a criteri significativamente differenti da quelli in vigore nel mondo degli adulti. Molto spesso gli adulti, magari più per un malinteso senso di protezione che per autoritarismo, trascurano di incoraggiare i figli verso l’acquisizione di uno spazio personale di autonomia, non rispettando la loro identità e le loro genuine aspirazioni.
Si tratta di un libro sull’adolescenza assolutamente nuovo sia nel racconto sia per il montaggio dei documenti. Tutti noi abbiamo avuto modo di rivivere la nostra adolescenza, interrogandoci sui passaggi chiave della nostra crescita, ripensando al ruolo assunto dai nostri genitori e a come il loro intervento sia stato in taluni casi essenziale per le nostre scelte. Ripensare ci permette di non rifare gli stessi errori nel rapportarci ai nostri figli, che seppure vivano condizioni diverse molto più permeate di tecnologia di quanto lo sia stata la generazione precedente, alla fine condividono le stesse strutture emozionali.
Ivana Castoldi, “Figli per sempre”
Dalle prefazione
Dario, sessantadue anni, sposato con figli, arriva in terapia con una strana, ma solo apparentemente strana, richiesta: “Dottoressa, mi aiuti a dialogare con mio padre… non ci sono mai riuscito”. Il padre, novantenne, era morto sei mesi prima.
Dario non sapeva darsi pace. Era caduto in uno stato di profonda depressione e si tormentava al pensiero di aver ormai definitivamente perso l’occasione per dire a suo padre quello che da più di quarant’anni gli pesava sul cuore.
È possibile tacere a un genitore, per così lungo tempo, pensieri e timori, sentimenti e risentimenti personali, pur desiderando aprirgli il cuore e farlo partecipe del nostro mondo interiore? Quali paure, quali rancori, quale pudore ci trattengono, a mano a mano che cresciamo in età e in consapevolezza, dal mostrare ai nostri genitori le tracce e i postumi della nostra esperienza di figli? A volte, questi esiti somigliano a profondi solchi incisi nella carne come ferite che faticano a rimarginarsi; altre volte, all’impronta di una carezza che ci fa palpitare il cuore di amore e riconoscenza. Non è solo il dolore a far morire le parole sulle labbra, a farci chiudere nell’isolamento; spesso, a inibirci è la nostra incapacità a parlare d’amore e di gratitudine.
Con i genitori rimane sempre qualche conto in sospeso: molti segreti non si sveleranno mai; alcuni nodi non si scioglieranno mai e ci peseranno sul cuore per tutta la vita. In effetti, anche se diventando adulti prenderemo fisicamente o simbolicamente congedo dai nostri genitori per conquistare la nostra autonomia, rimarremo dei figli per tutta la vita. Anche quando resteremo orfani; anche quando, a nostra volta, diventeremo genitori. Questo legame viscerale tra genitori e figli è l’unico davvero inscindibile, nonostante tentiamo spesso di negarlo, di reciderlo, di dimenticarlo. Nella nostra esperienza di adulti non c’è “amore eterno” che tenga, al confronto…