In Italia oltre 1.800.000 donne convivono con una diagnosi di endometriosi. Il trend dei tassi d’incidenza del triennio 2021-2023 è stabile con tassi leggermente più alti nella provincia autonoma di Bolzano, in Veneto e Sardegna. Secondo approfondimenti preliminari condotti dall’Iss il rischio di endometriosi potrebbe essere associato alla residenza in aree contaminate da inquinanti con potenziale azione di interferenza endocrina.
Il 28 marzo è stata la giornata mondiale dell’endometriosi, un’occasione per sensibilizzare la popolazione sulla diffusione e sull’impatto di una malattia che in Italia colpisce più di 1.800.000 donne in età riproduttiva, e che è dovuta alla presenza di endometrio, la mucosa che ricopre internamente l’utero, all’esterno dell’utero. Con un notevole impatto sulla qualità della vita, sia per l’aspetto sintomatologico (dolori mestruali, dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali…), sia per le potenziali ricadute sulla capacità riproduttiva: si stima che tra il 30-40% delle donne che soffrono di endometriosi possa riscontrare problemi di fertilità o subfertilità. Nel 2023 il Parlamento italiano ha approvato una legge per il riconoscimento dell’endometriosi come malattia cronica invalidante.
Incidenza e prevalenza: i dati Iss basato sulle dimissioni ospedaliere
A partire dai risultati ottenuti da un modello di Registro epidemiologico sviluppato in collaborazione con l’IRCCS Burlo Garofolo, che si basa sulle schede di dimissione ospedaliera, l’Istituto superiore di sanità è oggi in grado di fornire stime aggiornate dell’incidenza e prevalenza della malattia.
Negli ultimi 10 anni sono stati registrati più di 113.000 ricoveri incidenti di endometriosi con un tasso di incidenza pari a 0.82 casi per 1000 donne residenti in età fertile (15-50 anni) con un trend temporale in calo tra il 2013 e il 2019.
La diminuzione è ancora più marcata nell’anno 2020, presumibilmente per un ridotto accesso ai servizi sanitari dovuto alla pandemia da SARS-CoV-2.
Dal 2021 l’incidenza torna ai livelli del 2019 con in media circa 9.300 nuovi casi l’anno e un tasso stabile nel triennio 2021-2023 pari a 0.76 casi per 1000.
Come atteso, l’incidenza di endometriosi tende ad aumentare con l’età e raggiunge il valore massimo nella fascia tra 31 e 35 anni (0,12% a livello nazionale).
Un leggero gradiente Nord-Sud
Il dato per ripartizione geografica mostra un leggero gradiente nord-sud del tasso di incidenza, che è generalmente maggiore nelle regioni settentrionali. Nell’ultimo triennio 2021-2023 il trend dei tassi d’incidenza è stabile con tassi leggermente più alti nella provincia autonoma di Bolzano, in Veneto e Sardegna, con più di una donna in età fertile su mille alla quale viene diagnosticata l’endometriosi.
A livello nazionale sono state stimate più di 1.800.000 donne con endometriosi confermata (con prevalenza pari a 1,4% della popolazione femminile tra 15-50 anni), confermando il rilevante burden di malattia nella popolazione.
Sette anni per una diagnosi, ma c’è più consapevolezza della malattia
L’endometriosi, in particolare il dolore, può avere un enorme impatto sulla qualità della vita, sul funzionamento fisico, sulle attività di tutti i giorni e sulla vita sociale, sulla salute mentale e sul benessere emotivo. Tuttavia la malattia è sotto-diagnosticata e le statistiche indicano che il tempo medio per una diagnosi corretta è di circa 7 anni, per via della natura poco specifica dei sintomi.
Ma alcuni studi recenti evidenziano un’incidenza crescente di casi diagnosticati, anche grazie a una maggiore consapevolezza della malattia.
Un’ipotesi di rischio ambientale da tenere sotto sorveglianza epidemiologica
Alcuni approfondimenti preliminari effettuati dall’Iss mostrano che il rischio di incidenza di endometriosi potrebbe essere associato alla residenza in aree contaminate da inquinanti persistenti che si bio-accumulano, con potenziale azione di interferenza endocrina, quali i policlorobifenili, le diossine, il piombo e il cadmio. Lo studio si basa su approcci di analisi e mappatura del rischio su base comunale, e suggerisce l’opportunità di attivare sistemi di sorveglianza epidemiologica integrati al monitoraggio ambientale in aree fortemente contaminate.
Per saperne di più: ISS – Istituto Superiore di Sanità
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