Il termine nocebo (l’opposto di placebo) indica le reazioni negative o indesiderate causate da una terapia medica o chirurgica, anche quando non sussistono le condizioni perché esse si verifichino. Problemi clinici ed etici nella pratica medica.
L’effetto nocebo si può verificare con qualsiasi terapia, anche se simulata; è ritenuto essere conseguenza di fenomeni psicobiologici assai frequenti nella pratica clinica:
– aspettativa dei pazienti di immediati benefici che tardano a venire,
– atteggiamento abituale di sfiducia verso le cure,
– precedenti esperienze negative proprie o di persone vicine,
– impropria comunicazione verbale o non verbale del personale sanitario,
– insoddisfacente interazione tra personale sanitario e paziente,
– lettura del foglietto illustrativo dei farmaci,
– impiego di un farmaco generico in luogo di un preparato utilizzato in passato.
I disturbi accusati più frequentemente sono di ordine soggettivo: dolore, depressione, astenia, vertigini, nausea. Ma molti altri disturbi possono costituire un effetto nocebo. In uno studio eseguito presso l’Università di Firenze l’informazione sulla possibilità della finasteride di causare diminuzione della libido e disfunzione erettile ha causato nel 43% dei casi problemi della sfera sessuale, al contrario manifestati solo nel 15% dei soggetti che non avevano ricevuto l’informazione.
La comparsa di sintomi da effetto nocebo può interferire con i programmi terapeutici impostati, inducendo la sospensione o sostituzione di terapie potenzialmente efficaci o l’associazione con inutili terapie sintomatiche.
Per affrontare queste difficoltà, il medico deve stabilire un buon rapporto relazionale con il paziente, rendendosi disponibile ad impiegare tutti i metodi di comunicazione utili a determinare una “normale” risposta alle terapie, senza peraltro limitare le informazioni sugli effetti indesiderati che le terapie praticate possono determinare.
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(Fonte: medicinainterna33.fadoi.org)