Un lavoro pubblicato su FEBS Letters da alcuni ricercatori dell’Istituto di Biofisica del CNR di Pisa mette in evidenza la possibilità dell’ipericina di perturbare ed inibire i processi di aggregazione dei peptidi beta-amiloidi, responsabili dell’insorgere del morbo.
L’ipericina, pigmento naturale estratto dall’Hypericum perforatum (una pianta comunemente nota come iperico o “erba di San Giovanni”), può severamente perturbare i processi di polimerizzazione dei peptidi beta-amiloidi responsabili dell’insorgere del morbo di Alzheimer. Lo rivela uno studio dei ricercatori dell’Istituto di Biofisica del Cnr di Pisa (IBF-Cnr), pubblicato la scorsa settimana sulla rivista internazionale FEBS Letters: i ricercatori Antonella Sgarbossa e Francesco Lenci, assieme allo studente Dario Buselli, hanno eseguito lo studio in vitro utilizzando tecniche di spettroscopia ottica a stato stazionario (scattering, fluorescenza, dicroismo circolare). E’ stato dimostrato che l’ipericina, tramite interazioni intermolecolari di tipo aromatiche/idrofobiche, può associarsi ai precursori delle fibrille mature, inibendo la loro formazione.
“Il morbo di Alzheimer, come molte altre gravi malattie neurodegenerative, è caratterizzato dalla formazione e dall’accumulo di aggregati proteici nel cervello sotto forma di fibrille amiloidi altamente stabili e insolubili”, osserva la dottoressa Sgarbossa. “Per lungo tempo le fibrille amiloidi, che rappresentano il risultato finale del processo di aggregazione proteica, sono state considerate le principali responsabili della patologia neurodegenerativa. Numerosi studi sembrano oggi convergere sull’idea che la tossicità sia invece imputabile ad aggregati più piccoli, oligomeri, presenti nelle fasi iniziali e intermedie del processo di formazione delle fibrille: tali oligomeri “pre-fibrillari”, solubili e instabili, hanno una spiccata tendenza ad interagire con macromolecole biologiche e strutture cellulari, causando così un danno neuronale. Negli ultimi anni, quindi, l’interesse scientifico si è indirizzato alla comprensione dei meccanismi molecolari che guidano, fin dai primi stadi, l’aggregazione proteica patologica e alla ricerca di molecole naturali in grado di inibirla e ridurne gli effetti citotossici: molto studiati, in questo senso, sono i polifenoli naturali che si trovano ad alte concentrazioni in prodotti come il vino rosso, il the verde, il ginko biloba e molte piante. Come l’ipericina, sono molecole aromatiche che, grazie alle loro proprietà chimico-fisiche, possono interagire coi peptidi beta-amiloidi, sequestrando e inattivando le forme tossiche”.
La peculiarità dell’ipericina è anche quella di funzionare da sonda fluorescente. Infatti, i risultati di questa ricerca hanno evidenziato non solo che essa è in grado di inibire la formazione di fibrille interagendo col peptide beta-amiloide in stadi precoci del processo di fibrillogenesi, ma anche di rivelare, emettendo luce di fluorescenza, la formazione di oligomeri pre-fibrillari.
“Questo studio – aggiunge il dottor Lenci – è nato dalla curiosità scientifica dei ricercatori ed è solo uno dei tanti esempi di ricerca ‘di base’ dalla quale possono scaturire risultati applicativi”. “L’obiettivo – riprende la dottoressa Sgarbossa – è oggi caratterizzare al meglio queste forme iniziali di aggregazione al fine di individuare possibili percorsi terapeutici per il morbo di Alzheimer. La ricerca sta proseguendo nella valutazione della tossicità del peptide beta amiloide in presenza di ipericina anche con l’intento più generale di mettere a punto un test innovativo di citotossicità in vivo su protisti utilizzati come organismi-modello che, in linea con le direttive europee, non preveda il sacrificio di animali”.
Per saperne di più: Consiglio Nazionale delle Ricerche