Dalla vergogna alla rinascita

Una sola città, due anime. Matera contadina, simbolo della miseria e della vergogna e Matera della modernità e della rinascita. Una città dai mille contrasti e dalle diverse culture e tradizioni che oggi, con il titolo di Capitale europea della cultura 2019, vince la sfida della riqualificazione, del recupero sostenibile e conquista la sua identità perduta. Un dualismo che parte dalle origini.

“Matera è una delle poche città al mondo a custodire testimonianze di insediamenti umani a partire dal paleolitico fino ai nostri giorni”, spiega Michele Colucci, ricercatore dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo (Issm) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Si è sviluppata all’interno di grotte naturali scavate nella roccia, che nel tempo hanno preso la forma di due anfiteatri naturali, Sasso Caveoso e Sasso Barisano, entrambi incastonati in uno dei versanti del canyon scavato nel tempo dal torrente Gravina. Un modello di ecosistema antropizzato, dove uomo e natura riuscivano a convivere grazie a conservazione delle acque, stoccaggio dei rifiuti e riuso degli spazi”.

Questo fino alla fine del Settecento quando, con l’espansione della città per l’improvviso aumento demografico e la perdurante crisi della pastorizia e dell’agricoltura, la situazione cambia. Con le nuove esigenze abitative, nascono le prime abitazioni sul piano. Le grotte vengono ampliate per accogliere famiglie sempre più numerose. Cisterne e chiese rupestri si trasformano in abitazioni e, quando gli spazi non bastano, si scava nel sottosuolo. “Un andamento progressivo che nei primi del ‘900 e ancor di più nel secondo dopoguerra con gli sfollati, ha determinato un aumento degli abitanti (circa 18mila) che a quei tempi popolavano le 3.000 grotte dei Sassi”, prosegue il ricercatore.

La prima denuncia arriva con l’opera di Carlo Levi ‘Cristo si è fermato a Eboli’. Lo scrittore, costretto al confino dal regime fascista, ha l’opportunità di conoscere bene la Lucania e il suo mondo contadino.

“Case sovraffollate e sudice. Molte carenti delle più elementari condizioni igienico-sanitarie”, aggiunge Colucci. “Niente fogne né acqua corrente. L’antico sistema di raccolta delle acque di scolo non era più sufficiente. I canali che un tempo raccoglievano l’acqua sorgiva durante il periodo fascista erano stati pavimentati. Nelle grotte famiglie e bestiame convivevano, i lavoratori per poter raggiungere a piedi i campi erano costretti a muoversi in piena notte”.

In questa situazione di precarietà prendono il sopravvento la malaria, e molte altre malattie, comprese le zoonosi (patologie trasmesse reciprocamente tra uomo e animale). La mortalità infantile dell’epoca raggiunge una percentuale catastrofica: su mille bambini, 463 nascevano morti, contro i 112 della media nazionale. Lo scenario che i visitatori potevano riscontrare al tempo di Carlo Levi era di una povertà pesantissima, unita a una condizione igienico-sanitaria pessima. Matera sale alla ribalta nazionale come emblema di arretratezza dell’Italia meridionale.

“Anche Adriano Olivetti si interessa alla causa. Insieme al sociologo tedesco Frederic Friedmann presiede la Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera promossa da Unrra (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), Casas (Comitato assistenza senza tetto) e Inu (Istituto nazionale urbanistica), avviando un’indagine per conoscere le condizioni di vita degli abitanti dei Sassi e proporre soluzioni quali il trasferimento in quartieri nuovi e salubri”, prosegue il ricercatore.

Nel 1952 la Legge speciale per lo sfollamento dei Sassi impone a due terzi degli abitanti, circa 17mila persone, di abbandonare le proprie case. Così, mentre i nuovi quartieri si popolavano, il vecchio centro si trasforma in una città fantasma. “I dati disponibili sulla forza lavoro e sull’emigrazione ci permettono di inquadrare tale criticità già all’inizio degli anni Sessanta”, afferma Colucci. “Secondo l’Istat, in provincia di Matera nel 1960 si contavano circa 78mila persone occupate, disoccupate o in cerca di lavoro. Nello stesso anno ne risultavano in partenza verso l’estero, ben 1.265 che nel 1966 aumentavano fino a 2.258. Ogni mille abitanti, 11 espatriavano, il doppio rispetto al dato nazionale del 5,6 per mille”. Cifre alle quali bisognerebbe aggiungere tutti coloro che si recavano al Centro-Nord.

A partire dagli anni ’50 anche le produzioni cinematografiche nazionali e internazionali iniziano a interessarsi ai Sassi. Il primo è Carlo Lizzani che nel 1949 gira ‘Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato’. Poi Alberto Lattuada nel 1952 con ‘La Lupa’. A distanza di pochi anni è la volta di Pier Paolo Pasolini con il ‘Vangelo secondo Matteo’ (1964), di Francesco Rosi con ‘Cristo si è fermato a Eboli’ (1979) e poi di molti altri film italiani e stranieri, come ‘King David’ con Richard Gere (1985), ‘The Passion’ di Mel Gibson (2002) e il recente ‘Ben Hur’ con Morgan Freeman (2015).

Con la Legge speciale n. 771 del 1986 si avvia una fase nuova, invertendo quello che era stato il flusso forzato verso i nuovi quartieri. Una seconda vita per Matera, che da “vergogna nazionale” diventa testimonianza dello spirito di adattamento e sopravvivenza dell’uomo alle difficili condizioni di vita, tanto che nel 1993 viene dichiarata dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’umanità. I Sassi si ripopolano e diventano terreno fertile per musei, case grotta, ristoranti, alberghi, terme e botteghe di artigiani. “È l’intera città a giovarsi di questa crescita: la popolazione è cresciuta in modo significativo, al contrario di alcune città capoluogo circostanti come Bari, Potenza e Taranto”, conclude Colucci. “Storicamente terra di emigrazione, la Città dei Sassi negli ultimi 20 anni sembra aver invertito la tendenza. Matera, a differenza della provincia e del resto della Basilicata, ha avuto una crescita costante, passando dai 54.919 abitanti del censimento del 1991 ai 59.796 di quello del 2011, fino ai 60.403 del 2017. Una tendenza che coinvolge anche i cittadini stranieri: nel 2016 l’incidenza percentuale sul totale dei residenti era il 4,1%, mentre a Potenza circa la metà, il 2,1%”.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
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