L’estate e il sole sono per tutti sinonimo di abbronzatura. Com’è noto però in caso di eccessiva esposizione, specie se nelle ore centrali della giornata, i raggi ultravioletti (UV) provocano danni alla pelle. Per evitare scottature ed eritemi è opportuno, quando non si è in spiaggia, scegliere correttamente i vestiti da indossare.
“Di recente su alcuni capi di abbigliamento”, spiega Gaetano Zipoli, dell’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Firenze, “si trova un’etichetta che riporta la sigla CPF (Clothing protection factor) seguita da un numero che permette, analogamente all’SPF (fattore di protezione solare) delle creme, di definire il grado di protezione dagli UV offerto da un tessuto: valori fino a 10 indicano una bassa capacità protettiva, fino a 20 media, fino a 30 alta e sopra a 30 molto alta. Il nostro Istituto ha di recente avviato ricerche per definire l’efficacia protettiva nei confronti degli UV da parte di tessuti a bassa allergenicità, ottenuti da fibre naturali – lana, lino, cotone, canapa – trattati con un’ampia gamma di coloranti naturali (guado, robbia, campeggio, reseda, cocciniglia, legno rosso, ecc), ottenuti cioè sia da estratti vegetali che da insetti”.
La composizione del tessuto è il primo fattore che determina la capacità protettiva nei confronti della radiazione ultravioletta. “Le fibre per la loro struttura chimica”, precisa Zipoli, “hanno la capacità di assorbire, e quindi non trasmettere, i raggi UV in modo selettivo. Recenti studi hanno mostrato che le fibre sintetiche, come ad esempio il poliestere, offrono una buona protezione dalla radiazione UV; purtroppo però sono idrorepellenti e dunque non confortevoli soprattutto alle alte temperature”.
Anche il colore gioca un ruolo importante. “Una camicia di cotone chiara”, prosegue il ricercatore dell’Ibimet-Cnr, “può assicurare una protezione pari a quella di una crema solare con SPF 5-10, mentre la stessa camicia, ma di colore scuro, offre una protezione maggiore. Le colorazioni chiare sono infatti più riflettenti di quelle scure sia verso l’esterno che verso l’interno: di conseguenza la radiazione incidente sul tessuto può penetrare più in profondità grazie a una serie di riflessioni (scattering) multiple che portano una maggiore quantità di radiazione ad attraversare il tessuto stesso. A questo è dovuta la minor efficacia protettiva degli indumenti chiari, contrariamente a quanto a prima vista si è portati a ritenere. Secondo quanto emerso dai nostri studi, poi, canapa e lino non colorati dimostrano di avere proprietà schermanti per l’UV nettamente insufficienti, avendo un fattore di protezione (CPF) intorno a 5. L’aggiunta di un colorante tende però sempre ad aumentare l’efficienza protettiva di questi tessuti, in particolare se si colorano con un estratto della reseda (una pianta particolarmente ricca di luteolina) che aumento molto le caratteristiche protettive di lino e canapa, che raggiungono rispettivamente un CPF di 15 e superiore a 30”.
Ultimo aspetto determinante per il CPF del tessuto è la trama. I tessuti a trama fitta sono infatti risultati più efficaci nel trattenere la radiazione UV rispetto a quelli a trama rada, così a parità di colorante impiegato la lana presenta un fattore di protezione sempre molto più alto (molto superiore a 30) rispetto a canapa e lino.
“Ulteriori approfondimenti degli studi”, conclude Zipoli, “consentiranno di valutare anche come le caratteristiche evidenziate possano essere alterate dall’uso”.
Rita Bugliosi
(Fonte: Gaetano Zipoli, Istituto di biometeorologia del Cnr – Almanacco della Scienza)
Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR