La scienza dev’essere animata da un corretto scetticismo, quel mix che ci fa ricercare le pieghe oscure in teorie consolidate, la voglia della nuova scoperta, e la solida concretezza di volere un campione congruo di dati per disvelarci i veri meccanismi di funzionamento della natura, dell’universo: quindi, una rondine non fa né primavera né autunno.
Catastrofismo e negazionismo non fanno parte del dibattito scientifico, semmai di quello politico. Riassumiamo quindi alcuni fatti per cercare di capire se gli avvenimenti ‘meteorologici’ di questi giorni hanno un significato climatico globale.
Ondata di gelo. Siamo in presenza di un periodo invernale freddo, freddo che però non è possibile definire anomalo: infatti, le statistiche del Cnr ci dicono che il mese di dicembre si posiziona al 12° posto della classifica degli ultimi 28 anni, e 58° negli ultimi 208 anni (statistica che può cambiare in funzione della rete osservativa utilizzata, ma che difficilmente può essere stravolta). In aggiunta a queste informazioni statistiche, l’analisi dei dati delle temperature medie mensili globali evidenzia come negli ultimi dieci anni si sia invertita la tendenza al riscaldamento, aspetto che può apparire alquanto sconcertante a chi non è professionista del settore.
Ghiacci Artici. La superficie ghiacciata del mare artico è cresciuta ai livelli del 1979 (recovery): fatto importante ma, anche questo, non anomalo. I ghiacci artici, così come quelli antartici, sono soggetti a variazioni periodiche sia su base stagionale (e questo è intuitivo) che su base decadale (e questo è meno intuitivo, tanto che una teoria dimostrata è soggetta a continui aggiornamenti) e ancora di più ampia scala temporale. Allora sì o no ‘global cooling’ (raffreddamento)? E il ‘global warming’ (riscaldamento) che fine ha fatto? Parlare utilizzando questi termini anglosassoni è parlare di climatologia, parlare di quanto avviene in questi giorni è parlare di meteorologia: scienze affini ma non esattamente la stessa cosa. E’ fuorviante presentare davanti ai mass-media l’estate calda e dire “ecco la prova del riscaldamento”, altrettanto fuorviante è farlo oggi per sostenere che non è vero.
La confusione nasce in parte a causa di una ipersemplificazione che si è costruita attorno al problema climatico, ovvero trattare il clima come se il suo indicatore unico fosse la temperatura. Quello del clima è un sistema estremamente complesso e la temperatura è un fattore importate ma non l’unico: radiazione, nubi, forzanti astronomiche, struttura e funzionamento dei comparti biotici e abiotici e, alla fine di una lunga catena di complessi meccanismi, forzanti antropiche ovvero l’uso che l’uomo fa del proprio ambiente.
Se prendiamo proprio l’esempio dei ghiacci artici scopriamo che nel 2007, durante l’allarme mondiale lanciato sulla loro rapida fusione e sui poveri orsi costretti a nuotare per centinaia di chilometri per non affogare, alcuni ricercatori facevano notare che l’ammontare di superficie artica di ghiaccio marino è più legata ai venti che non alla temperatura: questi, infatti, ablano (in fondo una forma di grattamento) la superficie e spostano i ghiacci verso le coste (tipicamente più calde delle superfici oceaniche) e verso latitudini meno consone alla loro (dei ghiacci non degli orsi) sopravvivenza.
Naturale quindi aspettarsi in quel periodo, caratterizzato da forti venti artici, una diminuzione della superficie glaciata. Però, scattò l’allarme global warming: curiosamente, contemporaneamente, in Antartide, si registrava quasi un record storico di aumento della superficie coperta dai ghiacci, notizia forse meno interessante da un punto di vista giornalistico. Aggiungiamo che si dimostrò una bufala la storia degli orsi affogati, questi nuotano tranquillamente per centinaia di chilometri.
Il periodo attuale in Artide è caratterizzato da una ventosità quasi assente perché la circolazione generale dell’atmosfera segna uno spostamento del jet polare verso latitudini più meridionali. Così riusciamo a spiegare il fenomeno abbastanza bene senza introdurre il nuovo terrorizzante fenomeno del ‘global cooling’, e sarebbe buona cosa, prima di sparare la cartuccia di grosso calibro della climatologia, usare sempre quella di calibro più adeguato della meteorologia, anche quando le temperature salgono. L’atmosfera ha dinamiche complesse, non lineari, e non tutti i fenomeni possono essere compressi all’interno di grafici rettilinei: sappiamo ormai da molti anni che la natura di salti ne fa eccome, stiamo cercando di capirne i perché.
Climatologia da dimenticare? Assolutamente no, anzi il contrario! Ma occorrono più ricerche, più dati, più infrastrutture di misura, e alla fine anche modelli più accurati. Lo stesso IPCC riconosce le manchevolezze della rete di raccolta dati, e il problema diventa quello che troppe ipotesi ad hoc devono cercare di sostenere il traballante concetto di ‘temperatura media globale’ basata su una raccolta dati povera e disomogenea. Come ho fatto altre volte dalle pagine dell’Almanacco della Scienza, suggerirei una lettura sia agli opinion maker sia ai policy maker: leggete o rileggete il libro “Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del Cnr” (e se non lo avete potete facilmente ottenerlo tramite il dipartimento Terra e Ambiente del Cnr), lì troverete quello che si sa, quello che non si sa, quello che stiamo facendo per risolvere i molteplici dubbi che una scienza complessa come quella del clima impone come sforzo ai ricercatori.
(Fonte: Almanacco della scienza, CNR)
Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR