Un gruppo di ricercatori di medicina nucleare guidato dal prof. Marco Salvatore ha individuato una tecnica semplice e non invasiva di personalizzazione dei trattamenti chemioterapici: attraverso radiofarmaci assunti per endovena è possibile verificare la presenza della proteina della resistenza, che attenua gli effetti dei farmaci antitumorali, e disegnare appositi schemi chemioterapici per combatterla. Se ne parlerà al Congresso Annuale dell’Associazione Europea di Medicina Nucleare, in programma a Napoli dal 25 al 29 agosto 200.
La lotta contro i tumori può contare da oggi su un nuovo metodo che permetterà di individuare il trattamento chemioterapico più adatto all’organismo attraverso un semplice test, impiegato sino ad ora per cancro della mammella ma applicabile anche ad altri tumori come quello del polmone o delle malattie linfoproliferative. Ad annunciare la nuova tecnica di personalizzazione dei trattamenti chemioterapici è stato il prof. Marco Salvatore, Presidente della Associazione Italiana di medicina nucleare e ordinario di Diagnostica per Immagini all’Università “Federico II” di Napoli, nel corso della Conferenza Stampa di presentazione del Congresso Annuale dell’Associazione Europea di Medicina Nucleare, in programma a Napoli dal 25 al 29 agosto 2001.
La chemioterapia, attraverso le circa 90 specie di farmaci oggi in circolazione, viene impiegata per curare il cancro, per impedire al tumore di produrre metastasi, per rallentare la crescita locale, per uccidere le cellule neoplastiche che già si sono staccate dal tumore originario invadendo altri organi o tessuti o per alleviare semplicemente i sintomi del male. Non essendo tuttavia un meccanismo specifico, può capitare che la chemioterapia intervenga anche su tessuti sani determinando effetti collaterali non desiderati e spesso molto debilitanti. “Nonostante i progressi compiuti dalla medicina – spiega il prof. Marco Salvatore, membro tra l’altro del Consiglio Direttivo del CNR – i risultati della chemioterapia non sono sempre ottimali a causa della resistenza delle cellule ai farmaci antitumorali, resistenza dovuta alla produzione da parte delle cellule stesse di una particolare proteina (P-glicoproteina) che li respinge. Partendo da questo presupposto, abbiamo cercato di individuare in maniera semplice e non invasiva la presenza della proteina della resistenza nei tumori di pazienti soggetti alla chemioterapia attraverso dei radiofarmaci che, somministrati per endovena, si accumulano nel tumore rendendolo visibile alla scintigrafia. Ebbene, in presenza della proteina della resistenza questi radiofarmaci vengono attivamente buttati fuori dalle cellule malate e l’immagine del tumore svanisce più rapidamente nel corso del tempo”.
Studiando la velocità di eliminazione del tracciante da parte dei tumori resistenti alla chemioterapia, il gruppo di medicina nucleare del prof. Salvatore ha elaborato appunto un test per valutare la risposta dell’organismo ai farmaci chemioterapici più utilizzati in oncologia: se l’esito è negativo, e dunque non risulta la proteina della resistenza, il paziente potrà essere avviato ai regimi standard di chemioterapia; in caso di risposta positiva sarà invece necessario costruire degli appositi schemi di cura personalizzati. “La nostra ricerca, precisa Salvatore, ha una grande utilità sociale perché consente di pianificare la chemioterapia su base individuale migliorando la qualità di vita dei pazienti e riducendo al tempo stesso i costi di gestione per il servizio sanitario nazionale. Ed è anche un’ulteriore conferma della funzione benefica della medicina nucleare, che utilizza solo radiazioni naturali e quindi innocue”.