Cellulare assassino

Il nono posto tra le principali cause di morte nel mondo è occupato dagli incidenti stradali: soltanto in Italia, nel 2018, si contano 3.325 vittime. Sebbene i dati abbiano subìto un lieve calo rispetto a quanto registrato l’anno precedente (-1,6%), le cifre sono comunque inquietanti. Tra le ragioni principali dei sinistri vi è la distrazione, che, secondo quanto dichiarato dagli esperti dell’Automobile club d’Italia, è causa di circa il 75% della totalità degli incidenti.

Una percentuale elevatissima, nonostante le ricorrenti campagne informative sul tema come la recente #seisicuro, promossa dalla Polizia di Stato e da Autostrade per l’Italia, che tramite spot pubblicitari ironici e divertenti informa gli automobilisti sui rischi dell’utilizzo del telefonino al volante. Mentre si guida si fanno telefonate, ma anche tutte le altre azioni rese possibili dall’avanzata tecnologia degli smartphone, dai selfie alla scrittura di post per i social network, che portano a fissare per diversi secondi lo schermo. E questa pericolosa abitudine non è prerogativa dei giovani, se la percentuale di chi ammette di aver guidato con il cellulare in mano, dai 18 ai 64 anni, è del 51%.

Qual è il motivo per cui così tante persone rischiano la vita, propria e altrui, per usare il telefonino? “La guida richiede grande attenzione cognitiva, quindi basta poco per distrarsi. La presenza di uno strumento in macchina che continuamente si illumina, manda segnali acustici o visivi ci distrae anche solo a livello inconscio”, spiega Antonio Cerasa, neuroscienziato dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Consiglio nazionale delle ricerche. “La comunicazione nella nostra società è istantanea, dunque restiamo costantemente connessi. La diatriba sull’uso del cellulare in macchina è difficile da risolvere”.

Oggi la tecnologia sta venendo incontro alle esigenze della pubblica sicurezza, rendendo le macchine sempre più wireless, bluetooth, connesse, ma questo non basta. “Una possibile spiegazione del perché non resistiamo alla tentazione di guardare il cellulare sta nel meccanismo del touch. L’incredibile mole di opportunità che il mondo degli smartphone ci offre esplode nelle nostre mani grazie a un semplice tocco del dito sullo schermo”, continua il ricercatore. “L’interazione con il telefonino è estremamente particolare perché fin da bambini abbiamo appreso che possiamo entrare nel mondo di Internet con un semplice tocco. Il touch può farmi scoprire chi parla di me, chi mi sta pensando, chi sta guardando quello che ho fatto. Toccare lo schermo significa essere continuamente tra la gente, essere premiato per ciò che si fa, essere ricercato, essere desiderato. Questo condizionamento pavloviano non è facile da interrompere”.

Ripetere questo gesto, fino a renderlo un comportamento automatico, oltre a favorire una pericolosa distrazione quando si è alla guida, produce effetti sul cervello. “Questo comportamento ripetuto determina un fenomeno di plasticità neurale chiamato memoria procedurale, in cui un set di azioni motorie e cognitive vengono ‘zippate’ e trasferite in un’altra area per essere eseguite in maniera più facile, immediata e, soprattutto, in modo inconscio”, sottolinea Cerasa. “Attraverso questo meccanismo l’essere umano riesce ad apprendere nuove abilità, ma se un gesto viene ripetuto in maniera frenetica si può passare a movimenti stereotipati. Il cervelletto, se stimolato in maniera adattiva dall’ambiente, genera abilità che possono manifestarsi, ad esempio nelle capacità di un grande sportivo, di un bravo musicista o di uno chef stellato. Se invece viene stimolato in maniera compulsiva non richiede uno sforzo cognitivo”.

Il ricercatore del Cnr suggerisce anche un modo per valutare se la nostra interazione con il cellulare ha assunto aspetti patologici. “Il viaggio in macchina può rappresentare un buon test. La sintomatologia sospetta è caratterizzata da: insofferenza che sale con il passare del tempo di non poter controllare il display, incapacità di resisterle, soprattutto durante i momenti di attesa nel traffico, distraibilità a ogni segnale di notifica. Se queste sensazioni durante il tragitto in auto sono cicliche e ritmiche, esattamente come quando siamo tranquilli a casa, vuol dire che c’è una reazione compulsiva. La sincronizzazione e la ritmicità sono le principali funzionalità del cervelletto necessarie per coordinare i movimenti del corpo e il percorso in auto è, in tal senso, un intruso che impedisce la normale ripetizione dei comportamenti stereotipati sani, quali il controllo automatico e l’evitamento degli ostacoli che incontriamo sul percorso. Cosa si può fare? Distraiamo a nostra volta il cervelletto con altri movimenti ciclici e ritmici, ad esempio cantando mentre guidiamo”.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
Per saperne di più: Almanacco della Scienza