L’invasione estiva degli insetti è un fatto normale, anche in città e al nord, come spiegano i ricercatori dell’Istituto per lo studio degli ecosistemi del Cnr di Sassari. Che per evitare un eccessivo uso di ‘armi chimiche’ consigliano la lotta contro le uova.
Prima Bologna, poi Torino: la notizia di invasioni di cavallette, in questi caldi giorni d’estate, come già nel 2004, rimbalza in diverse, lontane e talvolta “insospettabili” regioni italiane. Se lo scorso anno, infatti, teatro del fenomeno è stato essenzialmente il sud del Paese, in questo 2005 le invasioni vengono registrate anche al nord, in Piemonte ed in Emilia.
“Niente di nuovo, in realtà”, rassicura Roberto Pantaleoni, ricercatore dell’Istituto per lo studio degli ecosistemi (Ise) del Cnr di Sassari. “Gli annali registrano ‘orde’ di questi insetti in Italia dai tempi più remoti, anche nelle regioni settentrionali. Le specie coinvolte sono poche e ben note: il grande Dettico dalla fronte gialla, il più meridionale Grillastro crociato ed il Grillastro italiano”.
Dalla metà del secolo scorso, però, le pullulazioni di cavallette si erano talmente affievolite nel nostro Paese da farcene dimenticare l’esistenza. Secondo i ricercatori dell’Ise-Cnr, “la spiegazione di una nuova massiccia presenza non va banalizzata e deve essere legata, analizzando tendenze di breve periodo, essenzialmente al microclima locale (la siccità nel nord Italia per esempio) e a tendenze di medio-lungo periodo legate ai cambiamenti d’uso del territorio (abbandono dei terreni marginali, della collina e della montagna), oltre che ai cambiamenti climatici di più vasta scala (global change)”.
I rischi che oggi si corrono sono ben inferiori a quelli del passato, ma non sono trascurabili. Gli agricoltori hanno armi chimiche potenti ed efficaci, con una tossicità acuta verso gli animali a sangue caldo estremamente ridotta. La salvaguardia delle produzioni agricole non è quindi la principale preoccupazione. Il problema è che una lotta basata solo sulla distribuzione di insetticidi a difesa delle coltivazioni contro le cavallette adulte (le “alate” dei vecchi pratici) è tecnicamente insostenibile per motivi economici e di salvaguardia ambientale.
“Le cavallette vanno combattute nei luoghi dove sono state deposte le uova l’anno precedente e dove sono nate nella stagione in corso, prima che diventino adulte e che siano in grado di volare”, spiega Pantaleoni. “In questo modo si riduce l’uso di veleni e si ottiene una maggior efficacia degli interventi. Ma questo tipo di lotta richiede una approfondita conoscenza del territorio, un’organizzazione logistica comprensoriale, buone conoscenze tecniche (ecologiche ed entomologiche)”.
E’ proprio in quest’ottica che l’Ise-Cnr sta affrontando il problema, realizzando in collaborazione con Enti pubblici e privati, locali e nazionali, una struttura (liaison office) dedicata all’entomologia territoriale, in cui viene recuperato, in particolare per quanto riguarda le cavallette, il grosso bagaglio di conoscenze (in parte ormai disperso) che l’Italia possedeva in merito al problema.
I primi risultati sono stati recentemente pubblicati nel volume “Cavallette all’arsenico. La lotta alle cavallette in Sardegna nella prima metà del ‘900” (Composita editore, 768 pp., 25 euro, Sassari). In quel periodo le pullulazioni di cavallette assunsero nell’isola proporzioni così devastanti da impegnare le autorità locali e statali in vasti e costosi programmi di lotta, accompagnati da emanazione di norme e regolamenti che influirono direttamente sulla vita delle persone. Gli sforzi messi in atto in quel periodo rappresentano un esempio di lotta organizzata su scala regionale ricco di aspetti ancora attuali, una base di partenza per affrontare oggi, di nuovo, il medesimo problema.