Adolescenze estreme

I perché dei ragazzi che uccidono
Mauro Grimoldi
Feltrinelli Editore
Pagine: 224 Prezzo: Euro 8

Omicidio, infanticidio, abuso sessuale, anoressia, suicidio: ecco come gli adolescenti possono fare male a sé e agli altri. Una serie di casi letti nella prospettiva inconsueta del colpevole, vittima a sua volta di se stesso, per comprendere cosa si cela dietro la maschera del “mostro”.

Il libro
Nell’immaginario collettivo, gli adolescenti che commettono un reato grave appartengono a un mondo a parte, fatto di volta in volta di follia, violenza ambientale e familiare, disattenzione dei genitori. Gli episodi che riguardano il lato oscuro dei ragazzi ritornano periodicamente con clamore sui media, che offrono facili spiegazioni moralistiche o sociologiche che spesso non bastano a spiegare i veri perché di questi episodi. Questo libro, invece, scritto da uno psicologo che da anni ha scelto di lavorare nei servizi che sono in “prima linea” nell’affrontare il grave disagio adolescenziale, si interroga e approfondisce i percorsi che hanno scandito le fasi che precedono e accompagnano il verificarsi di atti di violenza verso se stessi o verso gli altri.

Vuole entrare nell’intimo della bufera che, spesso sopita, senza segnali, si agitava sotto la superficie di vite uguali a quelle di tanti altri ragazzi. È una raccolta, forse unica nel suo genere, di casi di adolescenti che uccidono, raccontati e interpretati nella loro dinamica interna spesso con l’aiuto di testimonianze dirette. I ragazzi che uccidono cessano di essere mostri inconoscibili, materializzazioni del male, così che il difficile travaglio per trasformarli in adulti responsabili delle proprie azioni comincia a sembrare possibile e più vicino. Ma Adolescenze estreme è anche uno sforzo nuovo, originale di dare voce e comprensibilità al fenomeno “adolescenza oggi”, suggerendo strade per capire e affrontare il disagio quando questo fa la sua comparsa in ogni famiglia.

Approfondimento
Adolescenze estreme nasce dall’avere conosciuto come psicologo alcuni casi, in questi dieci anni, di grave crisi adolescenziale. Intendo questa volta con “grave” l’avere messo a rischio la vita propria o dell’altro da sé come minimo comune denominatore. Sono stati incontri difficili, che mi hanno sempre colpito come clinico ma soprattutto come persona. Ricordo il primo minorenne omicida che ho incontrato. Non racconto di lui nel libro, anche se per me rimane un ricordo indelebile e mi serve per spiegare quel genere di sensazioni che mi faceva venire voglia di condividere quello che stavo vedendo e vivendo. Era il 1997. Lui, Roberto, era penetrato con due amici in casa di un’anziana signora per rubare quel po’ di soldi che gli anziani tengono in casa.

I tre erano armati di un’arma semplice e terribile: dei mattoni. Nessuno voleva uccidere, eppure la signora dopo due giorni di agonia è deceduta forse un po’ per le ferite – che non bastavano a spiegarne la morte secondo il medico legale – ma soprattutto per la paura provata. La cosa sconvolgente era che questo ragazzo era diverso da quei “ragazzi del penale” che avevo conosciuto prima di lui, era molto meno trasgressivo, non sembrava per nulla aggressivo: non era, in apparenza, un ragazzo cattivo, un cattivo gnaro, come dicono a Brescia. Poteva passare per un mio compagno del liceo; ed era disperato. Piangeva ancora, e lo faceva tutte le volte, quando ricordava l’evento ormai diventato il fulcro intorno a cui girerà la sua vita, un momento da cui pure erano passati tre anni.

L’esperienza mi aveva già insegnato, ma doveva ancora assestare un paio di importanti colpi, che per gli eventi macroscopici, epocali, giganteschi non si trova mai una ragione. Per lo meno non se ne trova mai una unica. Come se una sola spiegazione non potesse essere abbastanza grande per spiegare tutto quello. Succede con gli incidenti aerei, che gli eventi sono spiegati da una lunga e sfortunata combinazione di fattori tecnici e umani in seguito ai quali l’aereo infine cade. Succede anche nel privato, se un uomo molto curioso, di solito uno psicanalista cerca per esempio di capire perché ci si è innamorati di una certa persona o perché si è smesso di farlo.
Adolescenze estreme ricostruisce alcuni incidenti. Sono tutti accadimenti macroscopici, vere fratture, squarci nel tessuto di adolescenze normali. Dietro ci sono quei dieci anni di esperienza da psicologo convinto che esista una parte di noi che ci fa fare e sentire cose importanti senza che ne sappiamo la ragione. Dieci anni ad esplorare l’inconscio dei casi di adolescenti estremi, che tentano, e talvolta riescono a morire o a uccidere: un omicidio in un certo periodo molto noto alla cronaca nera italiana, presentato nella sua sola scabra dinamica con nomi e luoghi cambiati; un infanticidio, un abuso sessuale di gruppo, un caso estremo di anoressia, due tentativi di suicidio. Ecco i capitoli del libro, ecco come gli adolescenti possono fare male a sé e agli altri. E, solo alla fine, un tentativo di tirare le somme.
Una delle differenze tra questo e altri libri simili è che qui c’è il tentativo di ricreare lo sgomento di chi si avvicina all’abisso per interrogarsi sui perché, e si trova molto, troppo vicino al male. Chissà che non abbia scritto tutto questo solo per avere compagnia nel difficile compito di districarsi tra vittima colpevole e vittime innocenti. Tenendoli sempre distinti per non confondere la comprensione – obbligatoria – con la giustificazione –insensata e dissennata.
Ogni volta che ho potuto, ho lasciato la parola volutamente proprio a loro, gli adolescenti estremi sopravvissuti alla caduta libera conseguente al gesto compiuto, per farci raccontare la loro storia, e solo dopo ho provato a spiegare, a raccontare, come psicologo, cosa fosse successo, a ricostruire la dinamica di quella particolare frattura nel tessuto del tempo di vita e di quello che del nostro e del loro tempo si può fare.
Non è un libro buonista, affatto, ma, lo spero, è un libro che non crede ai mostri, e dunque è un libro adulto. E un libro che ho voluto fosse un libro responsabile, non facile perché le domande che si pone non sono facili. E’ anche inquietante perchè tremendamente responsabilizzante per un mondo che di fronte all’”estremo” si nasconde come chi con viltà scappa in auto dopo avere travolto qualcosa o qualcuno senza sapere con certezza nemmeno cosa o chi. Essere grandi significa infatti forse anche questo, non potere mai illudersi di essere del tutto innocenti.
Mauro Grimoldi