Il risultato recente che più di ogni altro ha scosso le certezze della comunità dei fisici è senz’altro quello sulla velocità dei neutrini: secondo quanto emerso dall’esperimento Opera, condotto tra il Centro di ricerche Cern di Ginevra e i laboratori del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, queste particelle subatomiche sarebbero in grado di viaggiare a una velocità superiore a quella della luce, contraddicendo il principale assioma della teoria della relatività.
Da quando è stata formulata, nel 1905, la tesi di Einstein non era mai stata sconfessata, anzi, in migliaia di esperimenti, le previsioni erano state verificate con un elevato grado di accuratezza.
“I neutrini, non risentendo delle forze con cui si possono controllare le altre particelle, non possono essere manipolati a piacere e, in particolare, non possono essere accelerati”, spiega Valerio Rossi Albertini, fisico dell’Istituto di struttura della materia (Ism) del Cnr. “L’unica possibilità è creare neutrini in un certo luogo, lasciarli viaggiare liberamente e osservarli quando arrivino a un traguardo”.
È appunto quanto avvenuto nell’esperimento Opera. “Nell’acceleratore del Cern di Ginevra, protoni accelerati a elevatissime velocità hanno prodotto, a seguito di una catena di reazioni con un bersaglio, una raffica di neutrini”, prosegue Rossi Albertini, “che si sono propagati in linea retta, attraversando uno strato della crosta terrestre, fino a raggiungere i laboratori del Gran Sasso, dove alcuni di essi hanno reagito con i nuclei di atomi dei rivelatori e sono stati individuati. La loro velocità è stata calcolata nel modo più tradizionale: dividendo i 730 km per il tempo impiegato per coprirli. La posizione di questi due punti è stata determinata attraverso un sistema satellitare, in modo analogo a quanto avviene quando si usa un navigatore Gps per orientarsi”.
Il risultato ottenuto sembra indicare che i neutrini percorrono i 730 km in un tempo inferiore a quello di un lampo di luce. Ma sono stati sollevati alcuni dubbi. “Alcuni teorici”, continua il ricercatore dell’Ism-Cnr, “hanno sostenuto che l’esperimento, sarebbe stato interpretato secondo le leggi della meccanica classica, senza tenere in debito conto le discrepanze con le leggi della meccanica quantistica a cui si attengono le particelle elementari. I neutrini generati a Ginevra non sono stati osservati nel punto in cui sono stati prodotti, ma solo nel momento in cui si sono rivelati sotto il Gran Sasso: prima che venisse osservato il neutrino, sarebbe quindi in uno stato virtuale e il suo moto non potrebbe essere equiparato a quello di un corpo materiale soggetto alle leggi della meccanica classica”.
Altre verifiche sono in corso. Ma cosa accadrebbe se l’esperimento risultasse corretto? “Non è possibile dirlo con certezza”, conclude Rossi Albertini. “L’ipotesi più ‘conservativa’, potrebbe essere riadattare la teoria della relatività, sostituendo nelle equazioni la velocità della luce con quella dei neutrini o di altre particelle che si rivelassero ancora più veloci, cercando di prevenire le incongruenze matematiche che si verificherebbero. Tuttavia, anche in questa ipotesi l’essenza della teoria risulterebbe sconvolta. Una seconda soluzione, più radicale, potrebbe consistere nel considerare la relatività come un modello approssimato, da includere in una nuova teoria più ampia e generale. Insomma, come la teoria di Einstein ha rappresentato un’estensione delle tesi di Galileo e Newton, una nuova formulazione potrebbe includere e integrare a sua volta la relatività”.
(Fonte: Almanacco della Scienza – CNR)
Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR