Malattie e contagi ricorrono in letteratura sin dall’antichità: l’Iliade, considerata il punto di inizio della narrazione occidentale, esordisce con il racconto della pestilenza provocata da Apollo, adirato con gli Achei accampati sotto la città di Troia.
Le epidemie venivano interpretate come un segno dell’ira della divinità, una punizione inflitta agli uomini per aver violato un ordine morale o giuridico. Ma anche comeun fenomeno naturale che rende evidenti i limiti dell’uomo nei confronti della natura: ne troviamo testimonianza nelle accurate descrizioni della peste a opera di Tucidide (V secolo a.C.) nelle “Guerre del Peloponneso” o, alcuni secoli dopo, di Tito Lucrezio Caro nel “De rerum natura”.
Analizzare come il tema è stato affrontato nelle varie forme di narrazione letteraria, visuale e artistica che si sono succedute nei secoli è uno dei fili narrativi della mostra dell’Ufficio stampa del Cnr “Racconti e ritratti di medicina e malattia”, allestita a Genova e Pisa rispettivamente nel 2018 e nel 2019, i cui contenuti sono riassunti in una pagina dedicata del portale dell’Ente. Un vero e proprio viaggio che segue l’evoluzione da un lato l’evoluzione scientifica e clinica della medicina, dall’altro della narrazione della malattia.
Il tema della punizione divina non cessa con l’acquisizione di nuove conoscenze razionali. In tempi più vicini a noi, Boccaccio parla nel “Decameron” della “mortifera pestilenza […] a nostra correzione mandata per nostre inique opere, da giusta ira di Dio”. E ancora nell’800 Manzoni attribuisce alla peste un ruolo provvidenziale: il morbo, infatti, provoca la morte di Don Rodrigo e permette, come noto, il lieto fine dei “Promessi sposi”.
Ancora nel ‘900, nonostante il decisivo progresso della medicina, la circolazione di virus mantiene una valenza simbolica molto forte. La malattia in molti autori subisce una trasformazione metaforica, diventando simbolo del male spirituale e morale che pervade la società, soprattutto in coincidenza di particolari crisi storiche. In “Morte a Venezia” di Thomas Mann (1912), ad esempio, o ne “La pelle” (1949) di Curzio Malaparte, in cui gli eserciti alleati liberano Napoli ma privandola della fiera dignità mostrata durante la guerra. Altra opera prepotentemente tornata alla ribalta in tempi di Coronavirus è “La peste” di Albert Camus (1947), dove attraverso il morbo l’autore affronta l’orrore del nazional-socialismo appena sconfitto, un topos letterario perfetto per parlare di odio, sopraffazione, ingiustizia.
Oggi, mentre l’epidemia da Covid ha una dimensione tragicamente reale, queste pagine del passato recente e remoto ci ricordano che nell’idea del nemico sconosciuto – il virus è un rappresentante ideale – risiedono sempre le nostre paure più profonde
Fonte: www.almanacco.cnr.it