La cefalea è la terza malattia più diffusa al mondo con circa un miliardo di malati e, tra le sue diverse forme, l’emicrania è una delle più frequenti e complesse. Entrambe tendono a essere largamente sottovalutate, spesso non diagnosticate e non trattate. La sottovalutazione avviene principalmente proprio da parte di chi ne soffre, che spesso tende a ignorare o trascurare i sintomi, mentre una diagnosi puntuale è il presupposto essenziale per una terapia corretta e per ottenere una riduzione dell’intensità e della frequenza delle crisi, prevenendo così lo sviluppo di forme croniche che possono essere fattori di rischio per altre patologie ad alto impatto assistenziale.
L’indagine “Vivere con l’emicrania”, svolta dal Censis ha posto al centro il punto di vista del paziente, al fine di verificarne l’atteggiamento, l’informazione sulla patologia e i comportamenti, compreso il rapporto con i professionisti della salute (dal medico di medicina generale allo specialista), le cure e le conseguenze sulla qualità della vita. È stato interpellato un campione di 695 pazienti dai 18 ai 65 anni con emicrania a frequenza media/moderata (da 4 a 9 giornate di emicrania al mese), alta (da 10 a 14 giornate al mese) e affetti da emicrania cronica. Ad essi è stato associato un campione di 129 pazienti affetti da cefalea a grappolo, distinti tra pazienti con crisi episodiche e croniche.
Il 18,3% dei pazienti sono uomini, l’81,7% donne. L’età media è piuttosto bassa: il 20,3% va da 18 a 34enni, il 37,1% è composto da 35-44enni, il 30,6% da 45-54enni, l’11,9% da 55-65enni. Il 67,3% risulta coniugato/convivente, mentre i celibi/nubili sono poco più di un quarto.
L’età media all’insorgenza dei primi sintomi è di 22 anni. Si riscontra anche la tendenza a ritardare il ricorso al medico, soprattutto tra le donne (55,9% entro l’anno, contro il 73,2% degli uomini) e tra coloro che hanno avuto l’esordio dei sintomi prima dei 18 anni (41,2% contro la media del 58,9%). A generare ritardo, in primis, un diffuso deficit di informazione, che favorisce la minimizzazione del problema, legato all’atavica difficoltà di associare al mal di testa un potenziale pericolo concreto per la salute. A fronte del 36% che individua nell’emicrania una vera e propria patologia, la maggioranza tende ad assimilarla a un sintomo derivante da qualche altro disturbo.
I pazienti interpellati sono per oltre l’80% molto o abbastanza informati circa l’emicrania, la conoscenza cresce tra i livelli di istruzione più elevati. Poco più del 30% del campione usufruisce delle cure dei Centri dedicati al trattamento delle cefalee, che in virtù dell’elevata specializzazione e del livello delle prestazioni erogate, attraggono soprattutto i pazienti più problematici, con una quota maggiore al Centro e al Nord.
Vivere con l’emicrania ha ricadute su tutte le attività quotidiane: oltre il 40% dei pazienti intervistati misura in più di dieci giorni negli ultimi tre mesi quelli nei quali la malattia si è frapposta all’esercizio della normale vita quotidiana. Una compromissione che penalizza soprattutto i malati più gravi e il segmento femminile. Quasi il 28% del campione (il 38,1% dei cronici) segnala come l’emicrania abbia inciso concretamente sulla propria attività professionale, limitandola fortemente con ricadute che ledono l’affermazione personale e anche l’equilibrio reddituale e psicologico dei malati.
L’emicrania porta con sé ingenti oneri di tipo psicologico. Il 70% circa ammette di non riuscire a fare nulla durante l’attacco e il 58% vive nella paura costante dell’insorgenza dei sintomi. Una quota rilevante manifesta un forte sentimento di solitudine: quasi il 90% ritiene che la patologia sia socialmente sottovalutata; il 66,2% che nessuno capisca davvero il livello di prostrazione che essa provoca e ne sottovaluti l’invasività; il 49,9% si ritiene vittima di uno stigma sociale. La famiglia rappresenta la prima (e in grande parte l’unica) sponda nell’assistenza al malato nei momenti di crisi.
Fonte: Almanacco della Scienza – CNR
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