Arrivano, scaricano passeggeri, si fermano qualche giorno per poi ripartire verso altre destinazioni. Sono le grandi navi da crociera che attraversano la Laguna centrale di Venezia, un fenomeno che negli anni ha visto un aumento notevole dei transiti. Enormi palazzi galleggianti, lunghi fino a 300 metri e larghi anche quasi 40, con altezza superiore ai 50-60 metri e scafo che, in alcuni casi, raggiunge 8 metri di pescaggio. Una mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin, esposta qualche anno fa presso il Negozio Olivetti, in piazza San Marco, ne ha immortalato il passaggio quotidiano. Il 6 dicembre viene inoltre presentato allo Iuav di Venezia il documentario su Berengo Gardin girato da Donna Serbe Davis, con cui ha collaborato anche il Cnr per la parte scientifica relativa alle navi.
Ma il traffico marittimo della Serenissima non si ferma qui. Ad attraversare la Laguna – seguendo rotte diverse – sono anche le navi commerciali, le piccole imbarcazioni e il traffico locale (vaporetti, motonavi e altro). L’enorme flusso che interessa Venezia, in gran parte composto da presenze giornaliere, è insomma composto anche da persone che ammirano la città dall’acqua. Non esiste una stima della quantità totale di energia immessa nel bacino lagunare sotto forma di onde di breve periodo delle imbarcazioni minori, mentre le grandi navi che fanno rotta attraverso il trafficatissimo Bacino di San Marco incidono sul traffico, sul rumore, sull’aria e sull’energia della massa d’acqua, generando un moto ondoso particolare, legato al dislocamento: il peso relativo delle due componenti del traffico marittimo nel centro storico è ancora poco studiato.
Maggiori sono invece le conoscenze sugli effetti del traffico commerciale. Un team di ricerca internazionale, coordinato dall’Istituto di scienze marine (Ismar) e composto anche dagli Istituti di geoscienze e georisorse (Igg) e di Ingegneria del mare (Inm) del Consiglio nazionale delle ricerche ne ha valutato in dettaglio l’impatto, analizzando il moto ondoso nei canali di grande navigazione, in particolare nel Canale Malamocco-Marghera. Bulk carriers e portacontainer che solcano il canale artificiale noto anche come Canale dei Petroli – scavato nel 1970, stretto e poco più profondo del loro pescaggio – anche a velocità moderate generano onde di depressione (le onde di Bernoulli), una sorta di tsunami con un grande potere erosivo sulle barene, presso le quali raggiungono localmente, lungo il tragitto, altezze superiori a 1,5 metri, erodendone le sponde e con un netto export di sedimenti verso il fondo del canale e verso il mare.
“La navigazione nella laguna di Venezia ha rappresentato sin dalle sue origini una grande sfida”, afferma Luca Zaggia, ricercatore del Cnr-Igg. “Ma la Regina dei mari non si è mai data per vinta. La sua lotta per contrastare l’evoluzione morfologica del suo sistema di bocche tidali e garantire alla propria flotta l’accesso al mare è stata incessante”. Il trasporto litoraneo di sabbie creava delle barriere di fronte al porto di San Nicolò, con rischi per la navigazione, soprattutto in presenza di venti sfavorevoli come bora e scirocco. “Solo con la realizzazione dei moli guardiani alla fine dell’800, grazie all’unione delle tre bocche di San Nicolò, Sant’Erasmo e Treporti, la profondità del porto di Lido si è potuta attestare su quote vicine a quelle attuali”.
Così Venezia ha potuto riprendere la sua competizione commerciale, grazie anche alla realizzazione del porto industriale di Marghera in sostituzione dello scalo della Marittima, oggi destinato esclusivamente al traffico crocieristico. La rotta di Marghera, per oltre 40 anni, ha portato le grandi navi a transitare attraverso la città nel Canale della Giudecca e lungo il Canale Vittorio Emanuele, fino agli anni ’60 quando, per ridurre la pressione sulla città e il rischio di incidenti, si è dato inizio allo scavo del Malamocco-Marghera. Qui le onde di depressione delle navi commerciali dirette a/da Marghera sono monitorate dai ricercatori Cnr e di Ca’ Foscari e gli studi hanno verificato che gli effetti di approfondimento della Laguna centrale causati dallo scavo rettilineo del canale potrebbero essere giustificati non solo dalle variazioni idrodinamiche del bacino ma anche agli effetti diretti del traffico marittimo. I recenti incidenti avvenuti lungo la Giudecca e il Bacino San Marco hanno poi riacceso il dibattito sul futuro del traffico crocieristico e su possibili soluzioni alternative incentrate proprio sul canale Malamocco Marghera e che comporterebbero un’ulteriore pressione sul sistema.
“Una nave in movimento genera onde superficiali di diverso tipo, soprattutto in acque basse, con profondità di poco superiori al pescaggio dell’imbarcazione: l’acqua sotto e ai lati dello scafo subisce un’accelerazione e forma un’onda a V, che segue la nave e, in un canale navigabile, viene amplificata assumendo forma cavo-cresta asimmetrica”, spiega il ricercatore del Cnr-Igg. In aree come il Malamocco-Marghera, quindi, la propagazione dell’onda di depressione sulle piane tidali e sulle sponde è maggiore: questi effetti nella laguna sono stati lungamente studiati grazie anche al sistema di monitoraggio del traffico navale basato sulla tecnologia Ais (Automatic Identification System), presente sulla piattaforma oceanografica “Acqua alta” del Cnr-Ismar, e grazie alle misure in campo e ai modelli basati sulla fluidodinamica computazionale, realizzati da Cnr-Inm e Università di Trieste.
“Le indagini sulle trasformazioni morfologiche del canale navigabile causate dal moto ondoso legato al traffico navale, a distanza di 50 anni dalla sua realizzazione, evidenziano che, pur essendo stato lasciato libero di adattarsi alle forzanti, non ha ancora raggiunto una configurazione stabile, in cui la forma si possa considerare in equilibrio con la pressione del traffico”, conclude Zaggia. “Da qui la necessità di intervenire sulla condotta dei mezzi, con riduzione della velocità entro limiti sostenibili e salvaguardando i criteri di sicurezza, anche in funzione del livello di marea”.
Silvia Mattoni
Fonte: Luca Zaggia, Istituto di geoscienze e georisorse
Per saperne di più: Almanacco della Scienza