E’ uscito su F, il settimanale femminile di Cairo Editore diretto da Marisa Deimichei – il racconto in esclusiva di Camila Raznovich, conduttrice de Il Borgo dei Borghi e Kilimangiaro, entrambe in onda su Rai3. Figlia di una coppia di seguaci di Osho, Camila fin da piccolissima ha vissuto in comunità tra India, Inghilterra e Milano, dove i bambini erano spesso lasciati in autogestione: tredici anni fa aveva raccontato in un libro dal titolo “Lo rifarei!” la sua ‘infanzia alternativa’ che vedeva come una ricchezza, una diversità. Oggi ha cambiato idea sul suo vissuto anomalo tanto che è stato ripubblicato con una nuova prefazione.
Perché ha cambiato idea?
«Tredici anni fa ero giovane e quando si è giovani leggi tutto in maniera positiva. Il fatto di diventare madre (10 anni fa di Viola e 7 anni fa di Sole, ndr) ha cambiato radicalmente la percezione del mio passato. “Non lo rifarei” nasce da una nuova consapevolezza: non è una esperienza che farei fare alle mie figlie».
Quando è arrivata questa consapevolezza?
«Dopo la gravidanza ho avuto una depressione post partum, che ha aperto un vaso dentro di me da cui è uscito tutto, è stata il pretesto per iniziare un percorso di analisi serio. Lì ho scoperto che il sentirmi inadeguata come mamma nasceva dalle lacune affettive ed educative gravi accumulate nell’infanzia. Non conoscevo la gerarchia familiare base e quindi non sapevo attuarla».
Qual è stata l’esperienza che l’ha segnata di più nel corso della sua infanzia?
«Senza dubbio i quattro mesi nella sperduta campagna inglese in un regime militare. Ero in quinta elementare e fui selezionata per questo esperimento che prevedeva che trecento bambini vivessero con nove adulti, questa era la proporzione. Nel libro lo raccontavo quasi divertita: con l’analisi ho capito di esserne stata fortemente traumatizzata tanto che uno dei miei compagni, da grande, mi ha raccontato che piangevo tutte le notti, l’avevo rimosso. Il sentimento più forte che ho provato era la paura».
All’età di sette anni ha subito anche delle molestie sessuali da parte di un amico di famiglia.
«Questo signore, papà peraltro di un mio carissimo amico, mi toccò nelle parti intime mentre guardavo un cartone animato, con la scusa di farmi una coccola. Ricordo la sensazione di bruciore, l’imbarazzo, e poi il senso di colpa, tanto che allora mi augurai che lui non ne parlasse con nessuno. Quando sono cresciuta ho capito che era solo un maledetto pedofilo disturbato e l’ho rimesso al suo posto […] la mia vita per fortuna non ne ha risentito. È un episodio che mi preoccupa più ora, pensando alle mie figlie».
Che influenza ha avuto questo vissuto sulla sua vita sentimentale?
«Mi ha portata a cercare punti di riferimento. Mi sono sposata giovane con un australiano che apparteneva alla comunità. Con Eugenio, il padre delle mie figlie, ho voluto una casa, una famiglia. Purtroppo alla fine eravamo diventati come fratelli. Oggi ho accanto un uomo, Loic, francese, anche lui con un’educazione e impostazione tradizionale. Certo, il prezzo che pago per queste mie insicurezze è alto, soprattutto nella vita di coppia. Se non ho l’attenzione del mio compagno per cinque minuti entro in crisi, penso non mi ami abbastanza. Ho ancora una ferita lacerata, putrida, che si apre in maniera sproporzionata rispetto all’offesa che posso subire. Ma ci sto lavorando».
Crede all’amore per sempre?
«Mi piacerebbe molto, non posso dire di credere a quello per tutta la vita perché nel mio caso non è andata così. Ma adesso che ho 45 anni… Una trentina d’anni li tiro. Posso farcela».
Il settimanale F è disponibile anche in versione iPad e iPhone, nell’edicola di iTunes Store.