Medicine ed efficacia: se il placebo influenza i test

Un medicinale deve dimostrare la sua efficacia rispetto al placebo (un prodotto senza principio attivo). Ma questi può falsare il test clinico se contiene sostanze che agiscono comunque sull’organismo.

Quando l’oncologo statunitense Charles Loprinzi fece il test sul megestrolo acetato – farmaco pensato per contrastare le metastasi e per aumentare l’appetito nelle pazienti con tumore al seno – nessuno s’aspettava un risultato così brillante. Confrontato con il placebo del gruppo di controllo, il megestrolo dimostrò un’efficacia ben oltre le attese. Solo quando i colleghi di Loprinzi vollero saperne di più del placebo, si scoprì che i buoni risultati erano attribuibili, almeno in parte, a quelle compresse che per definizione dovevano essere prive di qualsivoglia principio attivo. Quel falso farmaco era composto soprattutto di lattosio, sostanza che i malati di cancro sottoposti a chemio o a radioterapia tollerano male. E dato che il placebo aveva agito negativamente sul gruppo di controllo, l’efficacia del megestrolo appariva immeritatamente molto superiore.

Esempi come questo hanno indotto Beatrice Golomb della University of California di San Diego a criticare lo scarso scrupolo nei confronti dei placebo usati per i test clinici (Annals of Internal Medicine, vol.153, pag.532, 2010).
Succede di rado che i responsabili dei test pubblicizzino le sostanze contenute nei placebo. Se il falso farmaco è un’iniezione, l’équipe di Golomb riscontra che solo in un quarto delle pubblicazioni si specifica che il placebo consiste in una soluzione salina. Se poi è una pillola, gli autori del test ne rivelano il contenuto solo nell’8% dei casi. “La mancata indicazione del contenuto del placebo è una grave violazione degli standard scientifici”, scrivono Golomb e colleghi, che hanno esaminato 167 pubblicazioni di studi clinici del 2008 e 2009 apparsi su quattro prestigiose riviste specializzate.
Per valutare l’efficacia di un medicinale serve il controllo di un placebo visto che il paziente può essere curato non solo dal principio attivo del farmaco, ma anche da ciò che lui si aspetta dalla pillola o dall’iniezione.
Nessun placebo è totalmente esente da un principio attivo

I ricercatori sono ormai in grado di misurare abbastanza bene questa fiducia preventiva del paziente in un medicinale. E’ noto che gli stimolanti funzionano meglio se sono di colore rosso, arancione o giallo mentre per i calmanti vanno bene il blu, il verde e il viola. O ancora, i pazienti s’aspettano più sollievo da un’iniezione che da una pillola. Per fare in modo che questi effetti placebo non alterino la valutazione di una medicina, il gruppo di controllo riceve un falso farmaco. Quando si fa un test, né i ricercatori né i pazienti coinvolti devono sapere chi appartiene a quale gruppo, e il placebo deve avere lo stesso colore, la stessa forma, lo stesso sapore e consistenza del vero medicinale, ma senza il principio attivo.

Però è impossibile produrre un falso farmaco del tutto esente da un principio attivo, sostiene Golomb: “In realtà non si conosce nessuna sostanza che sia del tutto inattiva nell’organismo”. Anche se il placebo è fatto solo di zucchero può alterare il risultato del test, come ha dimostrato il megestrolo. Viceversa, la scelta inappropriata di un placebo può indurre a sottovalutare l’efficacia di una medicina. Quando, negli anni 1970, i ricercatori fecero il test su un farmaco per ridurre la colesterina, usarono l’olio d’oliva come placebo. Fu una scelta infelice giacché l’olio migliorò i valori dei grassi nel sangue del gruppo di controllo, e dunque si aveva lo stesso effetto del medicinale in prova.
Da un punto di vista tecnico non è semplice trovare un placebo che assomigli al medicinale in tutti i suoi aspetti ma senza incidere per nulla sull’organismo. Lo sa anche Golomb, che dice: “L’obiettivo non è di creare il placebo perfetto, ma di rendere nota la sua composizione. Chi legge uno studio deve almeno poter stabilire se le sostanze del placebo siano in grado di pregiudicarne l’esito”. Ecco perché sarebbe opportuno che ogni pubblicazione indicasse il contenuto del placebo. Ma per ora non esistono delle linee-guida ufficiali.

(Fonte: Aduc – articolo di Katrin Blawal pubblicato sul quotidiano Sueddeutsche Zeitung del 22/10/2010. Traduzione di Rosa a Marca)
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