Sono over 55, poco istruiti, spesso con professioni poco qualificate. Oppure giovanissimi, ancora a casa con i genitori, senza un lavoro né un titolo di studio. Sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà a comprendere un articolo di giornale, un contratto o un foglietto delle istruzioni. Discutono, parlano di politica, di musica e di sport. Sbrigano le faccende di tutti i giorni senza mostrare apparenti difficoltà. Eppure, della realtà che li circonda colgono a malapena qualche parola e significati privi di organizzazione logica, razionale e riflessiva. Non si possono definire analfabeti strumentali, poiché sanno leggere e far di conto, ma analfabeti funzionali, cioè con un basso livello di competenze generalizzato.
L’analfabetismo funzionale accentuato può arrivare anche alla ‘non autosufficienza’, l’impossibilità cioè di comprendere testi elementari o di compiere i più basilari calcoli aritmetici.
Sono cinque i livelli di conoscenza letterale (literacy) e numerica (numeric), misurati dall’indagine Ocse-Piaac ‘Programme for the International Assessment of Adult Competencies’ attraverso la somministrazione di questionari e test a una serie di campioni rappresentativi della popolazione residente, di età compresa tra 16 e 65 anni, in ciascuno dei 33 Paesi partecipanti.
Il livello uno comprende le persone in grado di riempire semplici formulari, comprendere il significato di piccole frasi e leggere con fluidità un testo scritto; il livello tre è il minimo richiesto per il corretto inserimento nelle dinamiche della vita sociale, economica e occupazionale; i livelli quattro e cinque indicano una piena padronanza del dominio indagato letterale o numerico.
“Nel nostro Paese, secondo l’indagine Ocse-Piaac 2017, più di un italiano su quattro, il 27,9% della popolazione adulta compresa tra 16 e 65 anni, è al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà: una parte rilevante della popolazione italiana non possiede il bagaglio culturale necessario per svolgere in modo adeguato i compiti dell’età adulta”, afferma Sveva Avveduto, dirigente di ricerca dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Consiglio nazionale delle ricerche.
“Nonostante un tasso di alfabetizzazione che sfiora ormai per le nuove generazioni il 100%, la percentuale di low skilled o analfabeti funzionali è la più alta dell’Unione Europea. Su scala mondiale siamo al quartultimo posto rispetto ai 33 Paesi analizzati dall’Ocse, dove la media è pari al 15,5% Tra i più colpiti, le fasce culturalmente deboli come pensionati e persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito. Le aree con le percentuali più alte, il sud e il nord ovest del Paese”.
L’indagine dell’Istituto nazionale di politiche pubbliche (Inapp) ‘Focus Piaac: I low skilled in literacy. Profilo degli adulti italiani a rischio di esclusione’, pubblicata nell’aprile scorso su dati Ocse, conferma: in Italia i cittadini ‘low skilled in literacy’ sono quasi 11milioni.
“Un tempo si parlava solo di ‘analfabetismo di ritorno’ riferendosi agli adulti che dimenticavano le nozioni imparate a scuola: è così anche oggi, nel giro di cinque anni infatti, le competenze acquisite si perdono, se non sono adeguatamente aggiornate ed esercitate. Tuttavia ora siamo di fronte a un fenomeno ben più strutturato e generalizzato, che sta prendendo la forma di una vera e propria emergenza sociale e politica”, continua la ricercatrice.
A evidenziare questa problematica, già da tempo, osservatori come il linguista Tullio De Mauro, da poco scomparso: “Dobbiamo saper scrivere, raccontare, dire le cose che ci servono o comunicare i fatti e le emozioni della nostra vita, e sempre di più dobbiamo saper far di conto (…) altrimenti restiamo disorientati”, diceva nel 2016 in un’intervista a Inapp e Rai per due documentari su ‘Le competenze per vivere e lavorare’ e ‘Competenti si diventa’. Eppure viviamo nell’epoca del web e dei social, dove l’informazione è a portata di tutti: allora, come mai la maggior parte degli italiani non riesce a cercare né a comprendere questi innumerevoli stimoli? E se il dilagare delle fake news fosse legato proprio a questa scarsa capacità di capire? Le cause potrebbero essere diverse. Di certo la continua e repentina evoluzione delle tecnologie informatiche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico, tipico della comunicazione social, non hanno aiutato. Ma perché tali ritardi appartengono solo all’Italia e alla Spagna?
“Secondo la rilevazione delle forze lavoro 2017 dell’Istat quasi 10 milioni di italiani possiedono al massimo la licenza elementare, 16 milioni hanno solo la licenza di scuola media e meno di 16 un diploma di scuola superiore, mentre i laureati sono poco più di 7 milioni”, conclude Avveduto. “L’Italia è quart’ultima nelle graduatorie Ue delle persone tra i 26 e i 64 anni per livello di istruzione, con un’incidenza di adulti poco istruiti doppia rispetto alla media Ue. La scarsa propensione alle attività culturali è purtroppo confermata dagli ultimi dati Istat dell’aprile 2018: il 60% degli italiani lo scorso anno non ha mai aperto un libro o letto un giornale, preferendo informarsi solo attraverso la televisione. Tutti i consumi culturali sono molto modesti: poco meno del 6% della spesa di una famiglia è destinato a concerti, cinema, teatro o altre attività ricreative culturali. Un ruolo centrale potrebbe avere ancora una volta la scuola, insieme a un sistema educativo competitivo in grado di superare il ritardo di questi ultimi anni”.
(Fonte: Almanacco della Scienza – CNR)
Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR