Salvare vite nel mediterraneo centrale: il report di Emergency

Nel 2024 la Life Support di  Emergency ha soccorso 1.232 naufraghi, per un totale di 2.701 persone soccorse dal dicembre 2022, quando ha iniziato le missioni Search and rescue nel Mediterraneo centrale. Delle oltre 1.200 persone soccorse nel suo secondo anno di attività 1.003 sono uomini, 88 donne, 109 minori non accompagnati e 32 minori accompagnati. I nuclei familiari sono stati 46, le donne incinte 2. Le principali provenienze dei naufraghi sono state Siria, Bangladesh, Pakistan, Egitto, Nigeria, Eritrea, Ghana, Mali, Sudan, Marocco e Palestina. Paesi colpiti da guerre devastanti, instabilità politica, crisi economiche e da cambiamenti climatici.

Le persone soccorse hanno raccontato ai nostri mediatori culturali e al nostro staff sanitario di aver subito gravi violazioni dei loro diritti, di essere state vittime di estorsioni, sfruttamento e violenza, alcune di loro anche di aver subito tortura e abusi durante il loro lungo viaggio. Casi che sono stati segnalati alle autorità sanitarie presenti allo sbarco come soggetti particolarmente vulnerabili

A seguito del triage sanitario cui vengono sottoposti tutti i naufraghi per accertare le loro condizioni cliniche, il team sanitario della Life Support ha inoltre effettuato 867 visite nell’ambulatorio a bordo della nave su 519 pazienti, di cui 58 donne, 47 minori e 414 uomini. Le principali cause per gli accertamenti sono state: patologie dermatologiche, ustioni dovute alla miscela di carburante e acqua di mare, disturbi del tratto respiratorio, malattie gastrointestinali e disidratazione.

Questi sono solo alcuni dei dati contenuti nel report di  Emergency Il confine disumano – Salvare vite nel Mediterraneo centralededicato al secondo anno di attività della nave Sar di EMERGENCY. Il rapporto si focalizza sugli effetti delle politiche di esternalizzazione delle frontiere, sulla criminalizzazione di migranti e ONG e si conclude con cinque raccomandazioni a Europa, Stati membri e organizzazioni internazionali che partono dall’imperativo di porre la tutela della vita in mare al centro di ogni decisione sul Mediterraneo centrale.

Missioni e porti lontani: le conseguenze del decreto Piantedosi

Nel 2024 la nave Life Support ha compiuto 13 missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa al mondo, percorrendo quasi 39.000 chilometri e navigando per 139 giorni. Nello stesso periodo la nave dell’Ong ha realizzato 24 interventi di soccorso, tutti nelle zone Sar libica e maltese, a seguito dei quali le sono stati assegnati i porti di: Ravenna (3), Ancona (2), Livorno (2), Ortona (1), Civitavecchia (1), Napoli (2), Vibo Valentia (1) e Catania (1). La prassi del governo di assegnare porti di sbarco distanti dalla zona operativa alle navi Sar della flotta civile ha costretto la Life Support e i naufraghi a bordo a percorrere in media 630 miglia nautiche in più a missione, impiegando oltre tre giorni di navigazione. Per andare e poi tornare in zona operativa sono stati necessari 59 giorni di navigazioni aggiuntiva. Tempo prezioso sottratto all’attività di ricerca e soccorso.

Assegnando porti lontani centinaia di miglia dal luogo del soccorso, le autorità italiane costringono le navi Sar delle Ong a molti giorni di viaggio in più – dichiara Carlo Maisano, capo progetto della Life Support di Emergency -. Una pratica disumana che posticipa, senza motivo, l’assistenza di cui hanno bisogno le persone soccorse, mettendo a rischio la loro salute psico-fisica e ritardando il loro accesso ai servizi essenziali, come il supporto psicologico e la richiesta di protezione internazionale. Questo modus operandi, inoltre, tiene lontane le navi di soccorso dal Mediterraneo centrale, dove più servirebbero. Il decreto Piantedosi, quindi, insieme all’assegnazione di porti lontani e alle detenzioni amministrative delle navi, ha sottratto tempo e risorse preziose al soccorso e alla tutela della vita di chi è in mare.

Anche per questo le navi Sar delle Ong nel 2024 hanno soccorso complessivamente il 18% delle persone sbarcate in Italia. A causa del decreto Piantedosi, che limita la possibilità di effettuare interventi multipli in mare, la Life Support, certificata per accogliere fino a 175 persone, ha soccorso in media 95 persone a missione. Se fosse stato possibile raggiungere la capienza massima, avrebbe potuto soccorrere almeno 1.043 persone in più. Con il decreto Flussi del 2024 l’Italia ha esteso l’applicazione del decreto Piantedosi e delle relative sanzioni anche agli aerei delle Ong che fanno ricognizione sul Mediterraneo. Un’attività fondamentale per identificare velocemente imbarcazioni in pericolo e allertare tutti gli asset disponibili per il soccorso.

La totalità delle imbarcazioni in difficoltà soccorse dalla Life Support è partita dalle coste libiche, nessuna proveniva dalle coste tunisine come invece era accaduto l’anno precedente. Un dato significativo che potrebbe spiegarsi con le prassi vessatorie adottate dalla Tunisia, le intercettazioni realizzate dalla Guardia nazionale tunisina e con il Memorandum d’intesa Ue-Tunisia per la gestione delle frontiere e la prevenzione delle partenze.

Esternalizzazione delle frontiere e disimpegno dal mediterraneo

La sicurezza dei confini e l’esternalizzazione delle frontiere verso Sud ed Est sono ormai le priorità dell’Ue e degli Stati membri che si disinteressano completamente alle conseguenze delle loro politiche sulle persone in movimento.

Nonostante il Mediterraneo sia da oltre un decennio al centro di una crisi umanitaria non riconosciuta, con migliaia di persone che tentano di attraversarlo a rischio della loro stessa vita e 1.719 dispersi1 nel 2024 lungo la sola rotta centrale – commenta Davide Giacomino, Advocacy officer di Emergency l’Ue, l’Italia e gli altri Stati membri rispondono al fenomeno con politiche di esternalizzazione delle frontiere, appaltando la gestione dei flussi migratori a Paesi Terzi che vìolano sistematicamente i diritti umani delle persone in movimento. Politiche che mettono di fatto in discussione il diritto a migrare e alla protezione internazionale, insistendo con un approccio emergenziale e di sicurezza dei confini, a discapito dei diritti umani e dell’obbligo di assistenza in mare previsto dal diritto internazionale.”

Con il Memorandum Italia-Libia il nostro Paese ha fatto scuola nell’appaltare la gestione dei flussi migratori a Paesi Terzi che non rispettano i diritti umani. Alla pratica dell’esternalizzazione delle frontiere, l’Italia ha aggiunto un’ulteriore modalità di limitazione delle presenze dei migranti sul suo territorio. Il protocollo con l’Albania consente di “deportare” oltre Adriatico i migranti soccorsi in acque internazionali dalle autorità italiane e provenienti da Paesi cosiddetti sicuri e anche i migranti destinatari di decreto di espulsione presenti in Italia. Questo provvedimento compromette il diritto alla difesa e comprime i diritti delle persone in movimento trasferendole in un Paese in cui non vige il diritto europeo. Sul protocollo pende anche il giudizio della Corte di giustizia europea riguardo alla definizione di Paese sicuro.

Sul fronte europeo le stesse politiche sono declinate con gli accordi Ue-Turchia, il Patto europeo migrazione e asilo e il Memorandum tra Ue e Tunisia, che parla anche di ricerca e salvataggio, di maggior coordinamento delle attività Sar, di fornitura da parte dell’Ue di mezzi tecnici e formazione. Coerentemente con questo quadro e seguendo il modello implementato in Libia dal 2017, nel giugno del 2024 Tunisi ha informato il Segretario Generale dell’Organizzazione Marittima Internazionale dell’istituzione della Regione di Ricerca e Soccorso (SRR) tunisina.

Il riconoscimento delle autorità tunisine come responsabili della propria zona SAR per i casi di distress da parte dei centri RCC europei favorisce l’ulteriore disimpegno degli assetti europei, lasciando il campo ad attori con gravi precedenti di violazioni di diritti umani. Numerose testimonianze hanno, infatti, dimostrato come le autorità tunisine siano state responsabili di omissioni di soccorso, intercettazioni, respingimenti collettivi, violenze e manovre pericolose. Inoltre, l’istituzione della zona SAR tunisina espone le Ong Sar al rischio di fermo amministrativo in caso di mancata collaborazione con le autorità di Tunisi: lo sbarco dei naufraghi in Tunisia, che non può essere considerata un porto sicuro, sarebbe una violazione del diritto internazionale, ma allo stesso tempo la mancata collaborazione con le autorità tunisine può comportare il fermo amministrativo della nave ai sensi del decreto Piantedosi. A conferma del disimpegno degli assetti europei e dell’inefficacia del coordinamento delle operazioni nel Mediterraneo centrale, a intercettazioni e respingimenti collettivi verso Libia e Tunisia, si continuano ad aggiungere ripetute omissioni di soccorso ed episodi di imbarcazioni in pericolo rimaste per giorni senza risposta

Le raccomandazioni di Emergency

Per salvaguardare il diritto alla vita in mare EMERGENCY fa all’Italia, all’Ue alle organizzazioni internazionali cinque raccomandazioni. La prima è quella di porre la tutela della vita in mare al centro di ogni decisione che riguarda il Mediterraneo centrale e rafforzare la capacità di ricerca e soccorso in mare, attivando una missione SAR europea. La seconda prevede di riconoscere il ruolo umanitario delle Ong, abbandonando qualsiasi pratica di criminalizzazione, abrogando il decreto Piantedosi e assicurando l’assegnazione di porti di sbarco più vicini. La terza chiede di interrompere ogni azione a supporto dei respingimenti verso Libia e Tunisia che non possono essere considerati un luogo sicuro per lo sbarco dei naufraghi, revocando il Memorandum Italia-Libia e il Memorandum d’Intesa fra Ue e Tunisia e di non replicare le politiche di esternalizzazione in Paesi terzi. La quarta sollecita a revocare il Protocollo Italia-Albania, chiudere i centri albanesi e dirottare i finanziamenti per rafforzare il sistema d’accoglienza, garantendo dei percorsi efficaci di inclusione sociale. L’ultima chiede di investire in programmi di cooperazione di lungo periodo per il rafforzamento delle comunità e dei servizi nei Paesi di origine e transito e garantire ed ampliare vie di accesso sicure e legali in Europa.

Per saperne di più: emergency.it

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