Estate rovente, autunno sofferente

L’autunno arriva dopo una delle estati più calde degli ultimi anni: secondo i climatologi la più rovente dopo quella del 2003. D’altronde sono stati ben sette – da Caronte a Caligola, da Minosse a Lucifero – gli anticicloni subtropicali sahariani che hanno fatto salire le temperature fino a 40 gradi in molte città italiane, portando con loro siccità e facilitando la diffusione di incendi. È facile immaginare che un’estate così bollente abbia conseguenze nei mesi successivi sull’agricoltura, sui boschi e, più in generale, sugli ecosistemi naturali.

“Mais, girasole, barbabietola sono in quantità inferiore poiché hanno subito forti ripercussioni, ma gli effetti del caldo si sono fatti sentire anche sulla produzione di uva, con vendemmie anticipate già alla fine di agosto ma contenute, anche se di buona qualità, vista la maggiore concentrazione degli zuccheri”, spiega Federica Rossi dell’Istituto di biometeorologia (Ibimet) del Cnr di Bologna. “Lo stress da calore ha avuto effetti negativi anche sulla produzione animale, riducendo del 10-20% latte, carne e uova poiché il caldo ha accresciuto il consumo metabolico degli animali, aumentato la sudorazione, ridotto il passaggio degli alimenti nella catena digestiva e il flusso sanguigno agli organi interni. Anche il miele ne ha risentito: le api hanno dovuto infatti usare molte delle proprie energie per abbassare la temperatura degli alveari, introducendovi acqua e facendola volatilizzare con i battiti delle ali, e hanno anche trovato meno fiori a disposizione. Così pure le attività di alpeggio e la produzioni di formaggio nelle malghe del Nord Italia risentono della minore disponibilità di foraggi freschi”.

Quali sono le conseguenze del protrarsi dell’afa estiva? “Le piante in natura sono adattate a minimizzare gli impatti di eccessi termici e la siccità: effetti negativi di rilievo si registrano quasi esclusivamente in condizioni estreme, quali quelle di quest’anno”, prosegue la ricercatrice dell’Ibimet-Cnr. “La capacità di regolazione di molte specie ortive, frutticole ma anche di pieno campo come il mais, non è stata sufficiente a mantenere la normale attività di regolazione delle perdite di acqua e di mantenimento del contenuto idrico delle foglie senza modificare in modo sensibile l’attività fotosintetica”.

In alcuni momenti della giornata, in particolare nelle ore pomeridiane, molte tra le specie più sensibili, originarie delle zone temperate, con grandi superfici o estensioni fogliari, con apparato radicale limitato o poco profondo, hanno dovuto ricorrere alla chiusura degli stomi. “Queste aperture che si trovano nella parte inferiore della foglia e costituiscono una via di comunicazione con l’esterno, dalle quali escono le molecole di vapore acqueo ed entrano le molecole di CO2 a seguito della chiusura hanno limitato l’assimilazione fotosintetica giornaliera e, sul lungo tempo, la produzione primaria, riducendo inoltre la disponibilità dei carboidrati da trasferire verso frutti e semi”, precisa Rossi. “Le piante quindi hanno assimilato meno carbonio e questo, come già accaduto nella rovente estate del 2003, ha condizionato in modo negativo anche il contributo delle grosse estensioni forestali alla riduzione dell’anidride carbonica in atmosfera”.

Quindi, un colpo alle produzioni ma anche un colpo alla mitigazione ambientale che le piante riescono a svolgere. Ai danni sulla produzione, misurabili e quantificabili anche con una vistosa e inevitabile crescita dei prezzi al consumo, se ne uniscono altri, a breve e lungo termine, tra i quali il depauperamento della fertilità organica dei terreni, la diversa propensione delle piante ad attacchi di patogeni, la grande vulnerabilità verso il fuoco.

“Il clima, e le risposte che riusciremo ad offrire per contrastare i suoi estremi, sono di enorme importanza per il nostro Paese”, conclude la ricercatrice dell’Ibimet-Cnr. “Ricordiamo come la varietà dei paesaggi italiani, e anche di quelli agrari tradizionali sia un grosso punto di forza della nazione. La riconosciuta immagine di alta qualità dei nostri prodotti fornita ai mercati esteri comprende infatti notevoli rimandi al territorio e alla bellezza dei luoghi, portando con sé, oltre al puro valore commerciale dei beni prodotti, un valore aggiunto di grande rilevanza che non possiamo permetterci di trascurare: l’attrattiva turistica”.

Per saperne di più: Almanacco della scienza – CNR

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